La Fiat con il suo amministratore delegato Sergio Marchionne sta attuando un vero e proprio terrorismo industriale, la dichiarazione di chiusura di Termini Imerese, il ricatto occupazionale a Pomigliano con la disdetta del contratto nazionale del lavoro, la delocalizzazione di parte della produzione di Mirafiori, fino al mancato reintegro dei tre operai Fiat di Melfi (nonostante l’ordinanza del tribunale), sono le tappe più salienti di una devastazione dei diritti della dignità e della vita di una intera classe di lavoratori.Le ultime dichiarazioni dell’A.D. Fiat risultano a dir poco grottesche, parlare di pacificazione, di fine della contrapposizione padrone operaio subito dopo aver dichiarato guerra ai lavoratori italiani fa capire come il padronato si sta muovendo.Inoltre da un lato grazie ai media e ai sindacati compiacenti come Fim e Uilm si propaganda il progetto “fabbrica italia”come una occasione unica per il paese “la faccia buona del padrone” , mentre nelle fabbriche le condizioni di lavoro e di vita peggiorano continuamente grazie all’aumento dei carichi di lavoro e al taglio dei diritti. In merito si assiste al tentativo di cancellazione del c.c.n.l. Condizionando Federmeccanica e mettendo nell’angolo la F.I.O.M. Per arrivare a sancire la contrattazione individuale padrone-operaio. L’attacco frontale alla FIOM e al sindacalismo di base, l’emarginazione e criminalizzazione di tutti i soggetti che non sono in linea con le direttive dell’impresa la dice lunga sulla pace sociale auspicata dal padronato.
E’ necessario creare un ampio fronte di lotta che si opponga ai piani di Marchionne e del governo, dare vita ad un movimento di solidarietà politica, sociale e sindacale, capace di unire tutti i soggetti vittime di questo progetto, partendo dagli studenti per arrivare ai pensionati passando per disoccupati e precari.
Federazione Anarchica Italiana
sez. M.Bakunin Jesi – sez. F.Ferrer Chiaravalle
Centro Studi Libertari “L.Fabbri” Jesi
Ventura si rifugiò in Argentina oltre 25 anni fa, aprì un ristorante, uno dei locali italiani più frequentati, il «Filò». Da allora, nella sua Castelfranco Veneto, tornò una volta sola, per il funerale del fratello Angelo, morto in un incidente stradale in Austria nel maggio di tre fa. Era scappato perchè sulla sua testa pendeva un ergastolo (poi cancellato), quello della sentenza di primo grado della Corte d’Appello di Catanzaro del 1979. Anche Freda, come altri neofascisti in seguito anche perchè protetti e foraggiati dallo Stato, in carcere non rimase a lungo, riuscendo a nascondersi in Costa Rica.
A metterlo nei guai era stato un suo vecchio amico conosciuto al liceo, il trevigiano Guido Lorenzon, il quale fece imboccare la pista nera, dopo la prima ipotesi che aveva puntato su Pietro Valpreda e gli anarchici del Ponte della Ghisolfa. Lorenzon fu ascoltato: il giudice Giancarlo Stiz, ora in pensione, e il giovane pm Pietro Calogero, ora procuratore generale in laguna, gli credettero. Allora Ventura era un piccolo editore e libraio a Castelfranco, e a Lorenzon raccontava di collaborare con i servizi segreti e si lamentava di quanto erano costate le bombe sui treni – «Centomila lire l’una, miseria. Centomila!» – e gli chiedeva di ospitare armi ed esplosivi. E pochi giorni prima di piazza Fontana, gli sussurrava: «Vedrai, succederà qualcosa di grosso a Milano».
Il giudice di Milano Guido Salvini, che per anni ha indagato su piazza Fontana senza ottenere purtroppo una condanna, ieri ha sottolineato che aveva segnalato l’opportunità che Ventura fosse sentito (anche perchè gravemente malato), così come chiesto dal legale di parte civile dei famigliari delle vittime della strage. Ventura, secondo il giudice milanese, fu «figura cruciale», in quegli anni, nell’ambito dell’eversione di destra. Era lui, infatti, a «muoversi per conto dell’organizzazione per curare il piano eversivo» ed era sempre Ventura «a tenere i rapporti con Giannettini e il Sid a Roma». Ventura, però, fu anche una figura «fragile»: al processo di Catanzaro confessò di avere preso parte agli attentati preparatori del gruppo, ma di aver osservato da distante («come in un cannocchiale rovesciato») la preparazione della strage milanese. Un Ventura «velleitario»: si attendeva «importanti incarichi», una volta portato a termine il progetto eversivo.