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comunicato stampa 
1 aprile 2013
No alla chiusura dell’Ospedale di Chiaravalle! Questo è il primo punto fermo, poi si può parlare del resto. Consideriamo fondamentale quello che già era espresso nel Piano Sanitario Regionale ultimo e che riconosceva all’Ospedale di Chiaravalle le sue funzioni, le sue eccellenze (le fanno anche i semplici reparti di Medicina e Day Surgery e non solo le specialistiche baronali), i suoi costi ridotti e le ricadute importanti in termini di salute collettiva. Se Spacca parla di una visione di sistema nella riconversione della sanità marchigiana (come la sede ASUR a Fabriano?), questa non deve penalizzare i territori, generando una guerra fra poveri: un posto letto a me, due posti letto a te, niente posti letto a quello! La lungodegenza a Chiaravalle non è un reparto dell’Ospedale, ma di tutto il comprensorio e risponde alle esigenze della salute fungendo da filtro alla congestione dei nosocomi maggiori. Si taglia? Quanto si risparmia? Quanto costa il servizio ora? Quali le ricadute positive sulla popolazione? Chiunque parli di Casa della salute senza rispondere a queste domande sbaglia. E sbaglia perché non si pone il problema di dare risposte ai codici bianchi e verdi che senza Punto di primo intervento a Chiaravalle andrebbero a ingolfare ulteriormente i Pronto Soccorso di Jesi, Ancona e Senigallia. In un brogliaccio circolato in semi-clandestinità in questi giorni addirittura si paventa la chiusura del Laboratorio analisi. Qualcuno ha detto che è un refuso di stampa … portate pazienza! Ma quanto ci costano questi amministratori capaci di tagliare e fare refusi? Ogni cambiamento della sanità a Chiaravalle e nelle Marche deve rispondere a un concetto preciso: l’equità della salute, in termini di accesso alle prestazioni sanitarie, di posti letto, di liste di attesa, di potenziamento della presenza infermieristica nei servizi domiciliari. Un’ambulanza che porta in giro per la provincia un utente a cercare un posto letto o una visita, nei fatti crea disuguaglianze nella salute, cittadini di serie A e serie B, e peggiora lo stato delle famiglie che non ce la fanno più a correre da un nosocomio all’altro, da uno specialista all’altro, con le uniche sicurezze assistenziali date da … una badante a ore, per la quale stanno finendo anche i soldi. L’equità nella salute non si misura con le chiacchiere del palazzo e la ragioneria di una partita doppia, ma con diritti e servizi. I lavoratori dell’Ospedale di Chiaravalle e i cittadini della Bassa Vallesina dimostrarono 17 anni fa di sapere difendere i loro diritti. Oggi sono tornati a farsi sentire.
FAI – Federazione Anarchica Italiana 
Gruppo “Francisco Ferrer” – Chiaravalle 
Gruppo “Michele Bakunin” – Jesi


come 17 anni fa !


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      Cattiva salute, pessima politica, peggior democrazia.
Torna a far parlare di sé la riorganizzazione del sistema sanitario marchigiano. Ospedali, posti letto, servizi, la sforbiciata è profonda e segue il parallelo che sta avvenendo in tutto il paese. Viene da chiedersi: in un momento di crisi come quello attuale la ristrutturazione sanitaria che si opera servirà a ridurre costi o taglierà solo posti di lavoro e copertura sanitaria a favore del mercato e a sfavore dei più deboli? Molte le ipotesi, ma di certo c’è il peggioramento delle condizioni di vita, di lavoro, e di salute, della collettività. La risposta dal palazzo regionale (e da Roma) è quella di sempre: decisioni pesanti prese sulla pelle dei cittadini, senza alcuna consultazione con le comunità e le istituzioni locali. E’ la stessa politica regionale che oggi taglia in nome della salute e ieri voleva le centrali a biomasse. La stessa che parla di rinnovamento della politica ma la classe al potere è sempre più lontana dal grido di disperazione della collettività. Nei fatti il sistema sanitario pubblico sta esalando il suo ultimo respiro ed è assordante il silenzio di partiti, vecchi e nuovi, sindacati e intellettuali vari pronti a mobilitarsi per uno spot di un miliardario attore americano, ma consenzienti alle decisioni dei poteri forti. Chiamare alla mobilitazione i cittadini, anzi gli utenti del servizio sanitario pubblico, è doveroso in difesa della salute pubblica, dei più deboli, della equità nella salute minacciata dalla tirannide della privatizzazione.
F.A.I. – Federazione Anarchica italiana
Gruppo “M. Bakunin” – Jesi
Gruppo “F. Ferrer” – Chiaravalle
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Alcune bacheche del sottopasso dell’anagrafe di Jesi sono state danneggiate. Sono quelle del Comune di Jesi, della Croce Rossa e del Centro Studi Libertari “Luigi Fabbri”. L’amara scoperta è stata fatta la mattina del 13 marzo. Non è la prima volta che la bacheca degli anarchici jesini subisce danni, ma questa volta il fatto coinvolge anche altre organizzazioni. Difficile sapere chi possa essere stato, ma l’azione parla da sé. Sia essa di natura vandalica o squadrista (come in passato) è comunque un grave segnale per la città. Atto intimidatorio, tra il mafioso e il fascista, che vuole mettere a tacere con la violenza l’informazione che la bacheca divulga. Un grave segnale di imbarbarimento della politica dove toni alti, insulti, personalismi e violenza (anche verbale), servono solo a coprire il vuoto di contenuti. Invece chi rompe una bacheca solo perché non sa cosa fare di meglio, è il grave prodotto di un contesto sociale e culturale che si sta sempre più impoverendo, che non trova risposte al vuoto di una prospettiva di vita futura – lavorativa o famigliare – se non nella rabbia fine a se stessa, nell’atto distruggitore, più ormonale che razionale. Teppisti o squadristi, coloro (o colui/lei) che hanno distrutto le tre bacheche sono gli utili idioti al servizio involontario (forse) di chi preferisce una telecamera in più piuttosto che un posto di lavoro in più, di chi è più bravo con gli slogan elettorali che con le garanzie sociali. Inutile dire che, come anarchici, non ci faremo intimidire, e continueremo nell’opera di controinformazione, lotta e costruzione dal basso di una società migliore.
Centro Studi Libertari “Luigi Fabbri” 
FAI – Federazione Anarchica Italiana
 Gruppo “Michele Bakunin” di Jesi 
Gruppo “Francisco Ferrer” di Chiaravalle
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L’ultimo giorno di febbraio.
Chissà come sarà ricordato l’ultimo giorno del febbraio 2013. Molti diranno delle dimissioni di un oscuro pontefice che fra le tante cose parlò di dittatura del relativismo, senza preoccuparsi delle dittature politiche o economiche. Altri penseranno allo scatto d’orgoglio di un presidente alla fine del suo mandato, a difesa di un paese definito a rischio contagio dai tedeschi e che ospita clown in parlamento secondo gli inglesi.
A sinistra … ma già da molto prima di quel 28 febbraio era scomparsa la sinistra sotto le macerie di un tentativo goffo di essere partito di governo, senza essere più partito di lotta. Sulla macerie stanno i novelli portabandiera della forza della ragione, che rischia però sempre più di apparire come ragione della forza.
Non molti si ricorderanno di quest’ultimo giorno di febbraio come un giorno di infamia in cui le ragioni del lavoro, del diritto, della giustizia sono state cancellate in un’aula di tribunale rubando per l’ennesima volta i 7 operai morti della Thyssenkrupp alle loro famiglie. E all’infamia vecchia si aggiunge quella nuova di un altro morto sul lavoro all’Ilva di Taranto, il terzo in appena cinque mesi.
Il quadro non è dei migliori, ed anche se il paese si è stretto attorno a guru vecchi e nuovi, chi sperando, chi rassegnandosi, tanto per aumentare la confusione, i soliti 007 istituzionali lanciano l’allarme di attentati, sommovimenti, fabbriche cinesi che ci rubano il lavoro e chi più ne ha più ne metta. O come la caccia alle streghe di chiunque si opponga, utile a fare processi farsa, tanto pesanti sui media quanto vuoti di verità. Quando c’è insicurezza politica, ristrutturazione economica e pericolo di rivolta sociale, la strategia della confusione e della tensione è un prodotto made in Italy classico. Magari per favorire il formarsi di un governo, l’elezione di un capo, la pacificazione della rabbia sociale di chi, molto presto, si accorgerà che dopo le urne … non è cambiato niente.

FAI – Federazione Anarchica Italiana
Gruppo “Michele Bakunin” – Jesi
Gruppo “Francesco Ferrer” – Chiaravalle
Fip. Via Pastrengo 2 – Jesi
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Sulla guerra in Mali, riportiamo la traduzione del comunicato della Federazione Anarchica Francese per avere un quadro della visione dal di là delle alpi.



Una guerra bugiarda in più, terrorismo di stato e saccheggio delle risorse in Mali
Siamo tenuti a fare una scelta di campo. Da una parte dei religiosi armati che sognano di costruire il regno di dio sulla terra, dall’altra delle forze armate tecno-capitaliste che dichiarano di voler ristabilire i diritti dell’uomo, al centro una popolazione disarmata. È con questi ultimi che noi ci sentiamo solidali. Non esiste guerra giusta né guerra pulita. L’unione sacra intorno al presidente che va alla guerra,  a François Hollande, lo zelo dell’operazione oppressiva e la propaganda mediatica controllata, il rafforzamento del piano Vigipirate [sistema di sicurezza nato nel 1978 per contrastare il terrorismo sul suolo francese, prevede una sorta di “stato d’emergenza”, impone una forte militarizzazione del territorio, con l’inizio della guerra in Mali è stato ulteriormente potenziato], il clima internazionale contro il terrorismo, cercano di convincerci del carattere inevitabile di questa guerra, di convincerci a legittimarla. In realtà gli interessi economici dal tanfo colonialista dominano da lontano sulle vite delle popolazioni locali. I Jihadisti sono stati molto utili al potere francese per intervenire l’11 gennaio 2013.
La classe dirigente del Mali corrotta fino all’osso, la Francia, l’Unione Europea, le istituzioni finanziarie internazionali (FMI, Banca Mondiale, WTO) non sono preoccupate del profondo abbandono economico, sociale e culturale della popolazione, che lascia spazio adesso all’urgenza militarista. Per lunghi mesi i jihadisti del Nord del Mali hanno aperto le porte al reclutamento su grandi numeri sfruttando le necessità economiche della popolazione (giovani disoccupati, bambini). Non è escluso che l’intervento della Francia, antico paese colonizzatore, rinforzi i gruppi jihadisti per la prospettiva di una mobilitazione e di un reclutamento che prenderebbe una dimensione emblematica di lotta contro l’Occidente. Quando si gioca troppo alla “crociata contro il terrorismo internazionale” il boomerang integralista islamico è sempre dietro l’angolo. L’esperienza dell’impantanarsi della guerra in Afghanistan non è servita da lezione benché la Francia vi abbia partecipato.
La cooperazione militare con la Mauritania, la Costa d’Avorio, il Burkina Faso, il Niger, il Ciad e le due basi militari di Abidjan e di N’Diamena [due delle sei basi militari francesi ancora presenti in Africa] sono la prova, se ce ne fosse il bisogno, che la Francia non ha mai voluto lasciare questa regione. Le truppe che stazionano in Africa non ci sono per mantenere la pace ma bensì per intervenire rapidamente e garantire gli interessi delle grandi imprese francesi di prima importanza (Areva ed il suo uranio, Total ed il suo petrolio, Bouygues / Bolloré ed i suoi lavori pubblici / il suo dominio sui porti / il suo legname prezioso, Orange e le sue infrastrutture di telecomunicazione). Il governo francese, appoggiato dall’Unione Europea, sembra decisamente non volersi disfare dei propri riflessi colonialisti, né dei vantaggi che questa politica procura agli industriali francesi. Ammantarsi di valori democratici di pace e di difesa dei diritti dei popoli d’Africa… e si è raggiunto il massimo del cinismo neocoloniale. Il settore industriale degli armamenti rende più di qualunque altro (più del petrolio o del nucleare). Il mercato nucleare è sia un mercato civile che militare. I gruppi del mercato delle armi come Lagardère o Dassault sono proprietari di una grossa fetta della stampa d’opinione francese… Si capisce meglio perché le posizioni antimilitariste hanno scarsa voce in capitolo nei nostri media.
Dopo oltre una settimana di guerra, circa 200 000 rifugiati fuggono dalle zone di guerra in direzione dei paesi vicini mentre il Programma alimentare mondiale stima che, nel contesto attuale di siccità e di carestia, da 5 a 7 milioni di abitanti del Sahel avranno bisogno di un’assistenza immediata. 230000 persone si sono trasferite all’interno del paese. Di fronte agli attacchi degli eserciti del Mali e della Francia su terra, le forze jihadiste adattano la loro strategia e si nascondono nei villaggi. In mezzo, le popolazioni vulnerabili saranno presto o tardi le reali vittime di questi conflitti, in particolare le donne e i bambini. I rischi dei conflitti latenti tra le comunità sono grandi… la divisione, la stigmatizzazione sono in corso. Come sarà trattata la maggior parte dei Touareg che non hanno preso le armi? E i Fulani che non hanno aderito al MUJAO (Movimento per l’Unicità e la Jihad nell’Africa Orientale)?
La guerra costerà caro e durerà molto tempo. L’intervento militare francese è valutato per circa 400000 euro al giorno. La MISMA (Missione Internazionale di Sostegno al Mali) che sta per partire costerà 240 milioni di dollari annui. Ora che regna la miseria, i cordoni della borsa si allentano quando si tratta di andare ad uccidere con delle armi. Queste somme troveranno una legittimità nel miglioramento delle strutture sanitarie e sociali nel nord del Mali. Quella sarà la prova della volontà di ricostruire a partire dall’esistente. Solo gli uomini e le donne del Mali possono farlo nel corso del tempo. Questo grande conflitto armato non farà che respingere la speranza di un ritorno ad un equilibrio e di un miglioramento della situazione.
Per continuare ad esistere in Africa, il terrorismo di Stato francese fa la guerra al Mali, e poco importa il numero delle vittime dirette o indirette (37 ostaggi uccisi, 29 assalitori abbattuti a In Amenas in Algeria). Le popolazioni subiscono tragicamente la mancanza di politiche sociali, educative e culturali responsabili, ma al posto di questo le classi dirigenti, laggiù come qui da noi, si lanciano in un conflitto dall’esito più che incerto. I paesi europei seguono l’esempio e marciano a passo cadenzato. I maliani e gli abitanti degli altri paesi africani non potranno mai emanciparsi con le proprie forze fino a quando lo statu quo sotto tutela colonialista sarà la regola. Chi ricostruirà il paese una volta che il conflitto sarà terminato? Scommettiamo che le imprese francesi faranno la parte del leone… Noi rifiutiamo che questa guerra sia condotta in nostro nome.
Solidarietà con le popolazioni vittime di questa guerra! Pace immediata in Mali e lasciare la Françafrique!
Fédération Anarchiste Mercoledì 23 gennaio 2013