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A sostegno della sanità pubblica, equa e garantita




















Nei giorni scorso gli operatori del Pronto Soccorso di Jesi hanno scritto una seconda lettera. 
Comunicato stampa

A sostegno della sanità pubblica, equa e garantita


Parafrasando gli antichi: hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato … riforma sanitaria. Questo è il commento che si può fare a sostegno della seconda lettera fatta dal Pronto Soccorso di Jesi, ancor più condivisibile della precedente e che chiama in ballo le istituzioni locali. Forse qualcuno si ricorderà il vecchio ospedale di Jesi, i suoi reparti, i suoi vecchi primari. Uno di questi, vantandosi, un giorno ebbe a dire: “Nel mio reparto non trovate barelle occupate per il corridoio”. Una frase che suggerisce tutto il senso del profondo arretramento che l’assistenza sanitaria ha subito in questi anni, nonostante i progressi della medicina, la preparazione dei suoi operatori, una salute migliore e più diffusa. Ed allora cerchiamo di far chiarezza. Perché accade tutto ciò? Qual è l’obiettivo? Banale a dirlo, ma è sempre lo stesso: il profitto. Si sta affogando nei suoi problemi irrisolti la sanità pubblica per dare il via a quella privata. Con la scusa della cronicità si chiudono posti letto e servizi pubblici e si apre alle prestazioni private, non necessariamente meno costose o più efficienti. Ed è giusto chiedersi perché un cittadino ha solo come ultimo strumento quello di recarsi al Pronto soccorso. Perché la sanità territoriale non è stata ulteriormente potenziata e preventivamente attivata a fronte di una riduzione della sanità ospedaliera? Che cosa rimane al cittadino? Il farmaco da banco e fare finta di stare bene? La visita costosa per evitare un’attesa di mesi? Che cosa rimane alla fine all’operatore? Alla fine chi privatizza ci guadagna, chi vende ci guadagna, chi cerca voti e vende fumo ci guadagna. Vergognosa la propaganda elettorale di Marche 2020 dal titolo: “Obiettivo salute”. Sono gli stessi che hanno dato il via alla destrutturazione sanitaria regionale. A perderci restano i cittadini più deboli e i lavoratori della sanità (non tutti si intende, i baroni di sempre continueranno nei loro profitti e nelle loro posizioni di potere). Questa è la sanità del terzo millennio, che si prepara ad assistere (come?) precari ed infortunati di una società in cui il lavoro e la vita saranno sempre più incerti, e a rischio. Nonostante le scelte scellerate della Giunta Regionale uscente, tutto ciò può essere cambiato. In primo luogo dall’unione degli interessi e dei bisogni di operatori e cittadini (baroni esclusi) e poi dalla consapevolezza che la scelta, da subito, è una sola: o la salute pubblica, o il mercato dei profitti privati. Ogni altra cosa è pura e semplice menzogna.

Federazione Anarchica Italiana:
Gruppo “Michele Bakunin” – Jesi
Gruppo “Francisco Ferrer” – Chiaravalle
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Al peggio non c’è mai fine.



















Alla fine il Jobs Act è passato senza problemi, consegnando il paese ad una precarietà infinità. La cosiddetta sinistra di classe sembra scomparsa, e non da oggi. Qualche suo epigono si preoccupa principalmente di cacciare qualche poltrona nella speranza di … non si sa bene che cosa. Intanto, per non farsi mancare nulla si fanno avanti leggi liberticide, in nome della sicurezza antiterrorismo, ma tutti sanno che il vero terrorismo è quello che bombarda, reprime, licenzia e comanda, anche se non passa giorno che scemi di regime sono pronti a commentare qualsiasi notizia lungo la direzione di accrescere un senso di angoscia e di razzismo infinito. Qualche regione si prepara al voto, con partiti vecchi e nuovi che si inventano di tutto pur di accaparrarsi fette di potere. Sono tempi duri, e anche i santi risparmiano sui miracoli e per poter rimpinguare casse sempre avide di offerte ci si inventa anni santi straordinari e Expò da vergogna che, nonostante tutto, vendono spazi reali e virtuali, marketing fasulli e biglietti costosi come una settimana di lavoro che riaffermano la regola del gioco: tutti contro tutti, l’importante è vincere. Un gioco cui non parteciperemo mai.

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OPG, machete e tribunali














La piazza a Roma ha risposto ai politicanti prezzolati e parolai che vivono di livore razzista e violenza squadrista, che esacerbano le angosce individuali per trasformare il disagio economico e sociale in paura animale e … in soldi, voti e poltrone utili solo per loro. Di seguito il nostro piccolo contributo contro il razzismo e l’ingiustizia dilagante.
OPG, machete e tribunali
E’ di qualche giorno fa la sentenza che condanna il giovane africano di 26 anni che nel settembre scorso diede in escandescenze in strada armato di coltelli e machete. Nessuno si fece male, almeno in maniera importante. Aveva precedenti per aggressione e alla fine, dopo settimane passate fra galere e psichiatria, la sentenza definitiva lo traduce a Reggio Emilia dove dovrà restare per due anni presso l’OPG. Un dubbio sorge: “Ma non dovevano chiuderli gli ultimi sei OPG d’Italia?”

A fronte del chiacchiericcio mediatico relativo all’assoluzione di Renzi per la nomina di portaborse in provincia e alla scampata radiazione dall’albo del medico di Genova ’91, coordinatore dei servizi sanitari nella famigerata caserma di Bolzaneto, la condanna al giovane nigeriano rende ancora più evidente l’ingiustizia presente nel paese. O meglio di come la legge sappia tener conto se sei nero, malato, povero e magari estremista, anti-Tav, disoccupato, o che hai un’istruzione, un conto bancario, una serie di amici degli amici, e così via.
Argomenti che rischiano di sfociare nelle chiacchiere da bar se non fosse per la mole elevata di processi che imperversa in quel di Torino contro gli oppositori della Tav; se non fosse che la vergogna degli OPG, così definita dal sindaco di Roma, è ancora lì presente, con tutto il suo carico di disumanità. Se non fosse che ogni volta che qualcuno viene condannato ad essere rinchiuso in una struttura psichiatrica viene sempre da ricordare Francesco Mastrogiovanni, morto dopo quattro giorni di contenzione al letto, all’età di 59 anni.

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sui fatti di Roma














Sui fatti di Roma
L’arroganza e la prevaricazione con cui il premier ha annunciato il varo dei decreti attuativi per il Job Act dovrebbe fare alzare più voci di protesta che non il vandalismo di un branco di Hoolingans o le minacce bellicistiche dei signori della guerra del Sud del Mediterraneo.
Il premier gioisce per la scomparsa dell’Articolo 18 dello statuto dei lavoratori, conquistato con le lotte e strumento di garanzia di diritti lavorativi, mentre il “suo” (in realtà è farina del sacco del padronato italiano) Job Act allargherà solo sfruttamento e miseria.

L’ex-sindaco fiorentino parla di rendite di posizione eliminate. Quali? Quelle di banchieri, baroni, notai, burocrati e faccendieri vari? Queste non le ha toccate nessuno. Ed intanto continua la menzogna che la facilità di licenziamento permetterebbe la facilità di impiego, in una guerra però fra schiavi disposti a gareggiare fra loro per chiedere di meno al padrone di turno. Gli investimenti dovrebbero essere favoriti dalla facilità di licenziamento e da un precariato a vita? E quale fine economista ha affermato ciò, dimenticando la lotta all’evasione fiscale, alla corruzione, alla concussione, al nepotismo e al clientelismo?

E intanto il premier gioisce. Che avrà da ridere in un paese dove fra i morti sul lavoro si iniziano a contare anche quelli dovuti a suicidio causa la disoccupazione, il licenziamento, il precariato. Sono circa 900 all’anno. Gli Hoolingans, quelli veri, non stanno a Piazza di Spagna o sulle sponde del Mediterraneo.

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4,07 euro e 6 mesi
Un barbone ucraino è stato condannato a Genova per il furto di un pezzo di formaggio e di una confezione di wurstel. Il valore della refurtiva: 4,07 euro. La condanna: sei mesi di galera e 160 euro di multa. Superfluo ogni commento senza cadere nel patetico, nello scandalistico o nell’ipocrisia pelosa di una società fondata strutturalmente sull’ingiustizia. La sentenza ci ricorda che viviamo in una società classista, che punisce, affoga, tortura, bombarda, sfrutta i più poveri e tutela e garantisce i più ricchi. Non ci meraviglierebbe se qualche mente eccelsa, in cerca di voti, o non contenta di dimostrare la sua nullità mentale, si trovasse ad affermare che è così che si combatte la clandestinità e la criminalità. Ci addolora invece che a dar ragione a questi squadristi della parola sia in maggioranza povera gente, preoccupata di sopravvivere, di non scontentare il padrone, di vivere nella continua lotta contro il suo simile, in una infinita guerra fra poveri. Poveri che riempiono le galere di tutto il mondo, i fondali marini delle coste del primo mondo e che sono rannicchiati nel buio, in silenzio, in attesa che l’ennesimo bombardamento, in Ucraina o in Siria, finisca e li risparmi. Questo accade oggi, ma non sarà sempre così.