Categoria: volantino
poltrone e sanità nelle Marche
Si dovrebbe concludere nelle prossime settimane il riassetto post-elettorale della sanità marchigiana. Qualcuno se ne andrà, specie se legato alla vecchia giunta. Altri resteranno. Altri ancora arriveranno freschi di nomina, specie se legati alla nuova giunta. Alcuni cambieranno poltrona, da quella dell’ASUR a quella dell’INRCA. Il balletto delle nomine è cominciato già da giorni sui media locali, e non riesce a scuotere l’afa estiva, e politica, che investe la regione.
Nei fatti nulla viene detto dell’operato dei dirigenti che se ne andranno. Hanno lavorato bene? E se lo hanno fatto perché vengono sostituiti? Al contrario se hanno lavorato male a cosa verrà posto rimedio? Scelte politiche da ripensare? Indirizzi di equità sanitaria da rivedere? Purtroppo nulla di tutto ciò trapela nella voglia di poltronissima sanitaria. E il fatto che il nuovo presidente regionale abbia tenuto per se l’assessorato alla salute lascia intendere quanto questo sia centrale nel garantire equilibri economici, politici e relazionali. Intanto i servizi socio-sanitari della regione soffrono.
Tagli indiscriminati fanno sentire il loro peso sul sociale di cui viene praticamente azzerato il fondo. Soffrono utenti ed operatori della sanità pubblica che hanno visto una continua emorragia di posti letto, di posti di lavoro, di risorse. Poche le voci che si levano contro la destrutturazione della sanità marchigiana a denunciare che i tagli fatti, il risparmio e la riorganizzazione sanitaria hanno moltiplicato poltrone e ridotto servizi. Le Marche, una regione virtuosa grazie ai suoi operatori sanitari e ai suoi utenti, sta facendo da capofila nella cancellazione della sanità pubblica in questo paese.
Quando fra qualche anno si potranno vedere le cifre del peggioramento delle condizioni di salute dei marchigiani, grazie alle scelte scellerate fatte, forse sarà troppo tardi per cacciare via a pedate vecchi e nuovi occupanti di poltrone.
Oggi mandare a casa tutta questa classe politica al potere – e all’opposizione distratta – prima di essere una scelta politica è un’azione di … salute pubblica.
Plebiscito Elettorale
Plebiscito elettorale
Il Corriere Adriatico del 1 giugno titola in seconda pagina: “Ha vinto la voglia di cambiamento”. Mai titolo è stato più lontano dalla realtà e più vicino al Palazzo. Nelle Marche il PD si riconferma al potere dopo dieci anni di governo. Dove sta il cambiamento? Forse nel fatto che il presidente uscente Spacca è stato bocciato dalle urne? Lo è stato lui, e non la politica che ha sostenuto per dieci anni, quella servile del PD al potere padronale che ha trasformato le Marche in una regione deindustrializzata, precaria, con una sanità pubblica praticamente cancellata e cattedrali nel deserto che ogni tanto spuntano per favorire appalti agli amici degli amici.
Il PD resta il primo partito anche nel paese, nonostante le scelte disastrose fatte al governo. Premiati anche i partiti che riescono a rastrellare la reazione popolare, da Salvini a Grillo, e sconfitte invece le coalizioni che non riescono a dare segnali chiari di governabilità, cioè quando la lottizzazione delle poltrone rischia di mettere in discussione la tenuta del sistema … di potere. Le faide interne, cioè i panni sporchi, si lavano in casa, per il resto chi garantisce la pace sociale viene premiato, gli altri restano fuori dal palazzo. Nel primo caso Leghisti e Grillini continuano un’ascesa quasi inarrestabile. I seguaci di Salvini stravincono assieme ai fratelli italiani della Meloni, grazie in primo luogo alla grande pubblicità fatta dai media dove il segretario felpato ha goduto di visibilità quotidiana e diffusa. Facili parole d’ordine, odio seminato a piene mani e livore razzista in risposta alla disperazione sociale hanno fatto il resto. Le contestazioni di molte piazze non sono riuscite a scalfire la volata tutta mediatica dell’erede di Bossi, che in primo luogo ha permesso una frammentazione e personalizzazione nello schieramento di centro-destra tutta funzionale ai primi arrivati.
Anche i Grillini vanno avanti, ma non riescono a conquistare nessuna regione e restano saldamente ancorati in una nicchia ecologica tutta funzionale a incanalare proteste e malumori. Storia vecchia. E’ sempre bene avere un partito condannato all’eterna opposizione, che grida contro i corrotti e contro tutti e nei fatti non mette in discussione in alcun modo la società gerarchica e del profitto che genera miserie (leggere: stato e mercato). Vengono invece espulse sonoramente dal mercato elettorale, dopo un’agonia lunga venti anni, le ultime illusioni istituzionali di una sinistra di sinistra che ha perso troppe occasioni per capire che non è nell’urna (o nella poltrona) il luogo dove ricreare conflittualità di classe e solidarietà sociale. Probabilmente cercherà di rifarsi con qualche transfuga del PD e con il ritornello che senza la sinistra non si vince.
Vince quindi la governabilità che può anche far a meno del rifiuto astensionista della metà del popolo. Vince chi urla di più, contro gli immigrati o a favore di riforme che riportano indietro il paese. Vince il capo: Zaia, Salvini, Renzi, Rossi, etc. tutti premiati se restano fedeli ai loro padroni. Vincono le menzogne mediatiche e la paura, la miseria morale e la voglia d’ordine e legalità che non necessariamente significano libertà, lavoro, istruzione, futuro. Perdono gli ultimi di sempre, perché il teatrino della politica va avanti nonostante loro. Ma non perde chi pensa che un posto di lavoro si possa salvare con la solidarietà e la lotta, e che il razzismo si debba combattere, sempre. Forse perde chi si è illuso di cambiare con il voto, e chi non è riuscito ad andare oltre al non voto. Del resto non è una novità: gli sfruttati hanno sempre perso alla roulette elettorale, e i pochi diritti conquistati, sono stati sempre il prodotto di lotte e solidarietà. Fa bene ripeterlo. Ma i plebisciti elettorali non è detto che possano eternamente garantire l’impunità verso un potere che è sempre più inaccettabile.
Votare chi e per cosa?
No grazie, meglio l’autogestione sociale!