Categorie
Senza categoria

L’ultimo giorno di febbraio.
Chissà come sarà ricordato l’ultimo giorno del febbraio 2013. Molti diranno delle dimissioni di un oscuro pontefice che fra le tante cose parlò di dittatura del relativismo, senza preoccuparsi delle dittature politiche o economiche. Altri penseranno allo scatto d’orgoglio di un presidente alla fine del suo mandato, a difesa di un paese definito a rischio contagio dai tedeschi e che ospita clown in parlamento secondo gli inglesi.
A sinistra … ma già da molto prima di quel 28 febbraio era scomparsa la sinistra sotto le macerie di un tentativo goffo di essere partito di governo, senza essere più partito di lotta. Sulla macerie stanno i novelli portabandiera della forza della ragione, che rischia però sempre più di apparire come ragione della forza.
Non molti si ricorderanno di quest’ultimo giorno di febbraio come un giorno di infamia in cui le ragioni del lavoro, del diritto, della giustizia sono state cancellate in un’aula di tribunale rubando per l’ennesima volta i 7 operai morti della Thyssenkrupp alle loro famiglie. E all’infamia vecchia si aggiunge quella nuova di un altro morto sul lavoro all’Ilva di Taranto, il terzo in appena cinque mesi.
Il quadro non è dei migliori, ed anche se il paese si è stretto attorno a guru vecchi e nuovi, chi sperando, chi rassegnandosi, tanto per aumentare la confusione, i soliti 007 istituzionali lanciano l’allarme di attentati, sommovimenti, fabbriche cinesi che ci rubano il lavoro e chi più ne ha più ne metta. O come la caccia alle streghe di chiunque si opponga, utile a fare processi farsa, tanto pesanti sui media quanto vuoti di verità. Quando c’è insicurezza politica, ristrutturazione economica e pericolo di rivolta sociale, la strategia della confusione e della tensione è un prodotto made in Italy classico. Magari per favorire il formarsi di un governo, l’elezione di un capo, la pacificazione della rabbia sociale di chi, molto presto, si accorgerà che dopo le urne … non è cambiato niente.

FAI – Federazione Anarchica Italiana
Gruppo “Michele Bakunin” – Jesi
Gruppo “Francesco Ferrer” – Chiaravalle
Fip. Via Pastrengo 2 – Jesi
Categorie
concerti
domenica 17 febbraio
 concerto ore 17:30 ingresso gratuito e a seguire cena vegan
con 
ASTOLFO SULLA LUNA (da Napoli) 
S.T.A.T.E.D. (da Ancona)

Categorie
astensionista volantino

volantinaggio e comunicato stampa del 15 Febbraio 2013


Elezioni 2013: dei padroni, dei fattori,

e della servitù volontaria.

Dei padroni: qualsiasi sarà il risultato elettorale il patrimonio dei padroni d’Italia (Della Valle, Agnelli, Caltagirone, Berlusconi, Vaticano, Massoneria, Holding finanziarie, etc.) non verrà minimamente intaccato. I loro interessi verranno mantenuti grazie all’azione parlamentare di quelli che si dicono rappresentanti del popolo, ma che in realtà fanno gli interessi di chi comanda, i propri e qualche volta elargiscono un po’ di carità per tenere calmo l’elettorato.
Dei fattori: i figli della fatica contadina sanno cosa significa un fattore buono o un fattore cattivo, ma con tutta la buona volontà il fattore, anche quello buono, rimane sempre fattore, servo dei propri interessi e di quelli del padroni che lo tengono lì. Con il sistema elettorale non cambiano i padroni, al massimo i fattori che, buoni o cattivi, alla fine del raccolto voglio quanto spetta a loro e al padrone.
Della servitù volontaria: come possono milioni di persone accettare di essere poveri per far arricchire una minoranza, vivere una vita di stenti e miserie e ascoltare le menzogne di chi ne è responsabile? Ogni volta che questo popolo si reca alle urne perpetra una schiavitù volontaria vecchia di secoli.
I personaggi che oggi chiedono il consenso popolare variano a seconda delle promesse, della rabbia, delle meschinità. Ognuno rappresenta una cultura di potere che alla fine dimenticherà chi lo ha votato e regalerà di nuovo al paese e ai suoi abitanti stipendi da fame, tasse per chi lavora e protezione per chi le evade. Chiunque verrà eletto non invertirà il senso del declino dello stato sociale: la salute sempre più costosa, l’istruzione sempre più patrimonio dei figli dei padroni, la sicurezza e la previdenza parole in punta di manganello e non valori di civiltà per chi è anziano, per chi è più debole.
Dopo il voto del 24 e 25 prossimi chiunque vincerà non tornerà indietro sui diritti rubati ai lavoratori, chiuderà gli occhi sugli appalti disastrosi che costruiscono un paese che frana alla prima pioggia, non eliminerà guerre, povertà, disuguaglianze sociali. La casta rimarrà, la suddivisione in classi della società pure. L’Italia è uno dei paesi con il più basso indice di mobilità sociale al mondo: se nasci ricco resterai tale, se nasci povero … pure. Anzi, i figli del ceto medio che preferiscono riempire le piazze per sentire qualche imbonitore miliardario, in molti casi saranno più poveri dei loro padri. Tutto ciò viene spesso considerato come inevitabile, ma così non è.
Il voto è uno strumento, ma se non serve a liberare dalla schiavitù, a mandare via ladri, speculatori, padroni e sciacalli (quelli elettorali poi …), serve a ben poco. I diritti, le sicurezze sociali, le garanzie occupazionali, la tutela dell’ambiente e della salute, più che grazie a qualche tecnico illuminato, da sempre sono state ottenute dalle lotte della collettività, dalla difesa del territorio, dalla consapevolezza di essere soggetto di una società e non schiavo volontario di un sistema che chiamano democratico, ma che ha sempre gli stessi padroni e al massimo cambia qualche fattore. Tante le promesse elettorali, unico il voto da scegliere, nullo il risultato. E’ un gioco che ormai da decenni viene perso. E’ ora di dare voce alla politica che nasce dalle lotte, dai comitati di base, dal sindacalismo conflittuale, dalle relazioni non gerarchiche, dalla voglia di sapere e vivere liberi e dignitosamente.
Non esiste voto che possa dare ciò per cui non si sia disposti a lottare e a condividere con qualcun altro.






Alle bugie elettorali, la realtà delle lotte

 sociali!

Votare fa bene alla salute?
La stampa locale nei giorni scorsi ha annunciato la riconversione di 15 ospedali marchigiani in “Case della salute”. Cosa voglia dire questo in termini assistenziali non è ben chiaro, a differenza del fatto che la ristrutturazione della sanità italiana continua a suon di tagli e contrazione dell’offerta sanitaria pubblica. Molte le voci in merito che si sono levate a difesa di questo o quell’ospedale. In tempo di elezioni è normale, come normale sarà la scomparsa di ogni difensore a urne chiuse. E’ successo in passato con l’Ospedale di Chiaravalle che nonostante venti anni di tagli e obbligo per i cittadini della zona di fare decine e decine di chilometri per un esame, ha sempre garantito risposte efficienti ed efficaci alle esigenze del territorio e degli ospedali limitrofi. Per quello che ci riguarda vorremmo che ai cittadini fossero fatto sapere in maniera chiara tre cose semplici:
1. L’accesso alle prestazioni sanitarie (equità della salute) sarà più facile o no?
2. Le professionalità sanitarie e le risorse di sistema sviluppate in questi anni nei piccoli ospedali saranno valorizzate o saranno solo un taglio a favore di qualche budget di manager super pagati?
3. Quale strategia di sistema politici e tecnici prevedono nel medio e nel lungo termine per rispondere al peggioramento delle condizioni di vita di anziani, disoccupati, poveri, precari ed immigrati?
Il rischio è quello di peggiorare le prestazioni e la salute a livello marchigiano, e magari finire sui giornali nazionali per una futura malasanità come è stato per l’efficiente servizio di tutela del diritto alla maternità sicura (leggi IVG) a Jesi. Le risposte vere non verranno prima dei risultati elettorali. Altro, sarà solo sciacallaggio elettorale.




FAI – Federazione Anarchica Italiana: gruppo “M. Bakunin” – Jesi, gruppo “F. Ferrer” – Chiaravalle. Gruppo Anarchico “Kronstadt” – Ancona, Circolo Studi sociali “O. Manni” – Senigallia, Anarchiche e Anarchici Valcesano,
Fip. V, Pastrengo 2, Jesi

Categorie
astensionista manifesto

       ALLE BUGIE ELETTORALI  RISPONDE LA REALTAì DELLE LOTTE SOCIALI

C’è chi chiama democrazia la scelta fra una gladiatrice piena di medaglie o un comico miliardario o un miliardario comico. Qualcuno promette che dopo le elezioni scompariranno i rifiuti della camorra, o che non si dovrà più scegliere fra salute e lavoro, fra istruzione e sanità pubblica e spread.
Qualcuno chiama economia la possibilità di licenziare, di rubare il lavoro; chiama giustizia l’atto di cancellare garanzie sindacali. Chiama investimento e competitività rendere la vita più precaria e aumentare i privilegi dei padroni. Costoro sono gli stessi che si sono arricchiti sul lavoro e le miserie della collettività e che si preparano a fare di peggio. E’ la classe imprenditoriale, politica e intellettuale d’italia che, ancora una volta, tramite la scheda vogliono il consenso elettorale.
Negare loro questo consenso è la prima cosa da fare, per mettere in forse tutte le strategie ladronesche in progetto. Ma no basta. L’ astensionismo vive nelle lotte, nella solidarietà, nella costruzione dal basso di strumenti e metodi, relazioni e saperi che spezzano le gerarchie del mercato e dello stato.
Non basta certo una scheda elettorale rifiutata. E’ illusorio, come pensare che dare fiducia agli stessi che devastano questa società, migliori le cose.  


F.A.I. – Federazione Anarchica Italiana – Gruppo “Bakunin” di Jesi, Gruppo “Ferrer” di  Chiaravalle, FdCA – Federazione dei Comunisti Anarchici sez. di Fano e Pesaro, gruppo Anarchico “Kronstadt” – Ancona, Circolo Anarchico Umbro “Sana Utopia” – Perugia, Circolo Culturale “N.Papini” – Fano, Circolo Studi Sociali “O.Manni” Senigallia, Anarchiche e Anarchici Valcesano.

Categorie
Senza categoria


Sulla guerra in Mali, riportiamo la traduzione del comunicato della Federazione Anarchica Francese per avere un quadro della visione dal di là delle alpi.



Una guerra bugiarda in più, terrorismo di stato e saccheggio delle risorse in Mali
Siamo tenuti a fare una scelta di campo. Da una parte dei religiosi armati che sognano di costruire il regno di dio sulla terra, dall’altra delle forze armate tecno-capitaliste che dichiarano di voler ristabilire i diritti dell’uomo, al centro una popolazione disarmata. È con questi ultimi che noi ci sentiamo solidali. Non esiste guerra giusta né guerra pulita. L’unione sacra intorno al presidente che va alla guerra,  a François Hollande, lo zelo dell’operazione oppressiva e la propaganda mediatica controllata, il rafforzamento del piano Vigipirate [sistema di sicurezza nato nel 1978 per contrastare il terrorismo sul suolo francese, prevede una sorta di “stato d’emergenza”, impone una forte militarizzazione del territorio, con l’inizio della guerra in Mali è stato ulteriormente potenziato], il clima internazionale contro il terrorismo, cercano di convincerci del carattere inevitabile di questa guerra, di convincerci a legittimarla. In realtà gli interessi economici dal tanfo colonialista dominano da lontano sulle vite delle popolazioni locali. I Jihadisti sono stati molto utili al potere francese per intervenire l’11 gennaio 2013.
La classe dirigente del Mali corrotta fino all’osso, la Francia, l’Unione Europea, le istituzioni finanziarie internazionali (FMI, Banca Mondiale, WTO) non sono preoccupate del profondo abbandono economico, sociale e culturale della popolazione, che lascia spazio adesso all’urgenza militarista. Per lunghi mesi i jihadisti del Nord del Mali hanno aperto le porte al reclutamento su grandi numeri sfruttando le necessità economiche della popolazione (giovani disoccupati, bambini). Non è escluso che l’intervento della Francia, antico paese colonizzatore, rinforzi i gruppi jihadisti per la prospettiva di una mobilitazione e di un reclutamento che prenderebbe una dimensione emblematica di lotta contro l’Occidente. Quando si gioca troppo alla “crociata contro il terrorismo internazionale” il boomerang integralista islamico è sempre dietro l’angolo. L’esperienza dell’impantanarsi della guerra in Afghanistan non è servita da lezione benché la Francia vi abbia partecipato.
La cooperazione militare con la Mauritania, la Costa d’Avorio, il Burkina Faso, il Niger, il Ciad e le due basi militari di Abidjan e di N’Diamena [due delle sei basi militari francesi ancora presenti in Africa] sono la prova, se ce ne fosse il bisogno, che la Francia non ha mai voluto lasciare questa regione. Le truppe che stazionano in Africa non ci sono per mantenere la pace ma bensì per intervenire rapidamente e garantire gli interessi delle grandi imprese francesi di prima importanza (Areva ed il suo uranio, Total ed il suo petrolio, Bouygues / Bolloré ed i suoi lavori pubblici / il suo dominio sui porti / il suo legname prezioso, Orange e le sue infrastrutture di telecomunicazione). Il governo francese, appoggiato dall’Unione Europea, sembra decisamente non volersi disfare dei propri riflessi colonialisti, né dei vantaggi che questa politica procura agli industriali francesi. Ammantarsi di valori democratici di pace e di difesa dei diritti dei popoli d’Africa… e si è raggiunto il massimo del cinismo neocoloniale. Il settore industriale degli armamenti rende più di qualunque altro (più del petrolio o del nucleare). Il mercato nucleare è sia un mercato civile che militare. I gruppi del mercato delle armi come Lagardère o Dassault sono proprietari di una grossa fetta della stampa d’opinione francese… Si capisce meglio perché le posizioni antimilitariste hanno scarsa voce in capitolo nei nostri media.
Dopo oltre una settimana di guerra, circa 200 000 rifugiati fuggono dalle zone di guerra in direzione dei paesi vicini mentre il Programma alimentare mondiale stima che, nel contesto attuale di siccità e di carestia, da 5 a 7 milioni di abitanti del Sahel avranno bisogno di un’assistenza immediata. 230000 persone si sono trasferite all’interno del paese. Di fronte agli attacchi degli eserciti del Mali e della Francia su terra, le forze jihadiste adattano la loro strategia e si nascondono nei villaggi. In mezzo, le popolazioni vulnerabili saranno presto o tardi le reali vittime di questi conflitti, in particolare le donne e i bambini. I rischi dei conflitti latenti tra le comunità sono grandi… la divisione, la stigmatizzazione sono in corso. Come sarà trattata la maggior parte dei Touareg che non hanno preso le armi? E i Fulani che non hanno aderito al MUJAO (Movimento per l’Unicità e la Jihad nell’Africa Orientale)?
La guerra costerà caro e durerà molto tempo. L’intervento militare francese è valutato per circa 400000 euro al giorno. La MISMA (Missione Internazionale di Sostegno al Mali) che sta per partire costerà 240 milioni di dollari annui. Ora che regna la miseria, i cordoni della borsa si allentano quando si tratta di andare ad uccidere con delle armi. Queste somme troveranno una legittimità nel miglioramento delle strutture sanitarie e sociali nel nord del Mali. Quella sarà la prova della volontà di ricostruire a partire dall’esistente. Solo gli uomini e le donne del Mali possono farlo nel corso del tempo. Questo grande conflitto armato non farà che respingere la speranza di un ritorno ad un equilibrio e di un miglioramento della situazione.
Per continuare ad esistere in Africa, il terrorismo di Stato francese fa la guerra al Mali, e poco importa il numero delle vittime dirette o indirette (37 ostaggi uccisi, 29 assalitori abbattuti a In Amenas in Algeria). Le popolazioni subiscono tragicamente la mancanza di politiche sociali, educative e culturali responsabili, ma al posto di questo le classi dirigenti, laggiù come qui da noi, si lanciano in un conflitto dall’esito più che incerto. I paesi europei seguono l’esempio e marciano a passo cadenzato. I maliani e gli abitanti degli altri paesi africani non potranno mai emanciparsi con le proprie forze fino a quando lo statu quo sotto tutela colonialista sarà la regola. Chi ricostruirà il paese una volta che il conflitto sarà terminato? Scommettiamo che le imprese francesi faranno la parte del leone… Noi rifiutiamo che questa guerra sia condotta in nostro nome.
Solidarietà con le popolazioni vittime di questa guerra! Pace immediata in Mali e lasciare la Françafrique!
Fédération Anarchiste Mercoledì 23 gennaio 2013