Autore: cslfabbri
Sabato 25 ottobre a Roma la CGIL porta un corteo di un milione di persone contro le politiche del governo. Mercoledì 29, sempre a Roma, gli operai della AST di Terni (più di 500 lettere di licenziamento pronte) manifestano a difesa del lavoro che rischiano di perdere. La polizia carica e alleggerisce a suon di manganellate i presenti, segretario FIOM, Landini, compreso. Insomma quattro manganellate e la contestazione di un milione di persone in piazza è presto cancellata.
La CGIL vede finalmente in volto il paese che anche lei ha contribuito a destrutturare, ma i suoi burocrati non ne pagheranno il prezzo. I suoi tesserati, la classe lavoratrice, già lo sta pagando. Il coraggio dell’ultima ora, la rabbia mediatica probabilmente arrivano troppo tardi. Nulla possono contro un governo che risponde per slogan, pizzini televisivi e arroganza da teleimbonitori. Un governo di tecnocrati e berlusconidi (Renzi compreso) scelto dagli accordi di segreteria, poltrona, ma soprattutto ossequiente in maniera totale con i padroni, i mercati e le banche.
Contro gli operai di Terni forse si è consumato l’ultimo atto dell’utopia di uno stato democratico, della rappresentatività elettorale, degli accordi sindacali e di uno stato sociale. E, mercoledì scorso, forse, è stato il primo atto della democratura antioperaia del bonapartista Renzi I.
Chiediamo diritti e lavoro, ci danno manganellate e menzogne, è ora di dire basta!
Solo la lotta paga!
JOB ACT atto infame
JOBS ACT: atto infame
poco lavoro, precario e malpagato!
Ribellarsi a tutto ciò è giusto e doveroso. La manifestazione di sabato prossimo però si
presenta non meno insidiosa delle politiche renziane. Se fallisce da il via libera ad una
ubriacatura ulteriore dello sciacallaggio capitalista. Se riesce a mobilitare la piazza potrà
essere la moneta sindacale per gettare con decisione sul tavolo delle contrattazioni una
riconquista dei diritti perduti negli ultimi venti anni? Ne dubitiamo. O servirà ancora una
volta a dare unicamente legittimità ai burocrati sindacali?
Lavoro, diritti, dignità. Solo la lotta paga!
In una di queste piazze, Ancona, si è ritrovato tutto il mondo dei vari frammenti dell’eredità della resistenza: dagli anarchici ai centri sociali, dai vari partiti comunisti all’Anpi. Verso la fine della giornata, tornando a casa, due manifestanti incrociano una passante che domanda che cosa sia successo. Le rispondono che sono lì in opposizione alla manifestazione contro l’immigrazione. La donna capisce male e risponde: “Era ora, basta con questi immigrati. Tutti a casa!”. I due rimangono basiti e la donna si allontana. L’affermazione della donna è l’indicatore migliore del contesto politico sociale attuale, non solo di Ancona. Forza Nuova si mobilita nelle piazze, richiamando un fascismo populista e di pancia che nei fatti è già stato superato dallo stato di angoscia diffuso, dalla precarizzazione del lavoro e dall’impoverimento del ceto medio. La funzione squadrista degli eredi del Duce non è messa in discussione, ma la società cui si riferiscono, di fatto è più fascista di loro, pronta a scendere in strada per dare la caccia al nero, a fare la spia al padrone, a gridare al linciaggio qualsiasi cosa accada purché la colpa sia ascrivibile a “non italiani”. Ricordate la caccia all’albanese dopo il massacro familiare di Novi ligure? Accadeva una quindicina di anni fa e da allora la società italiana si è ulteriormente imbarbarita e atomizzata.
Allo stesso tempo i due militanti, che rimangono stupiti dalle affermazioni della donna,
rappresentano una testimonianza dell’incapacità dell’antagonismo di classe di essere strumento attivo di lotta in grado di andare oltre la semplice mobilitazione di piazza dell’ultima ora. Fabbriche che chiudono, leggi liberticide, tagli forsennati alle garanzie sociali e bonapartismo politico hanno reso talmente ampio e complesso il fronte degli interventi e delle lotte che qualsiasi difesa approntata si polverizza in mille rivoli, in tante corse a prendere la testa del corteo, la legittimazione
delle piazze e delle urne. Un quadro funesto appena mitigato dalle proteste e dalle ribellioni che periodicamente si manifestano, ultime quelle di Terni e dei mercati generali di Torino, o dalle lotte che ancora resistono (come in Val di Susa).
Difficile trarre conclusioni se non quelle di un richiamo comunque continuo alla mobilitazione, pena lo scoramento generale. Una volta con le espressioni paese legale e paese reale, si tendeva a sottolineare la distanza fra le istituzioni (e gli interessi privati e di profitto di cui sono portatrici) e i bisogni della collettività. E’ da augurarsi che queste espressioni oggi non rappresentino in realtà la
distanza fra le aspirazioni di una società migliore e i bisogni di una società migliore. Forse le
provocazioni neofasciste possono fornire in tal senso ulteriori termini di riflessione.
Un* compagn* che c’era.