Categorie
Senza categoria

Comunicato stampa 25 settembre 2014

Morire di lavoro

Massimo Avaltroni è morto per arresto cardiaco in fabbrica. Quasi una notizia anomala, in tempi in cui si muore quotidianamente per incidenti sul lavoro. Per non aver messo prudentemente una maschera e rimanere così asfissiati, come i quattro operai ad Adria. O peggio, ammazzati per aver chiesto di essere pagati per aver lavorato, come i due immigrati a Fermo. Di questi tempi morire di infarto in fabbrica suona strano, ma non meno grave di qualsiasi tragedia che colpisce chi lavora. Qualcuno, i soliti sapienti, potrebbe dire che le cause sicuramente andrebbero cercate nelle abitudini di vita dell’operaio. In realtà, morire a quarant’anni, è un grave atto di accusa verso il sistema fabbrica in questo paese, verso il sistema salute, verso una classe politica che vuole rendere ancora più precario e insicuro il lavoro. E’ da chiedersi come e quanto abbiano influito i tempi e le condizioni di lavoro sullo stato di salute dell’operaio. La sua, è una morte improvvisa o si poteva evitare con visite, diagnosi e terapie appropriate? Ogni morte di infarto prevedibile ed evitabile, specie se si è in presenza di un basso livello di reddito e di istruzione, è la prova dell’iniquità sempre più diffusa che il Servizio Sanitario Nazionale, nella difesa della salute collettiva, non riesce ad ostacolare, a tutela di chi ha meno risorse e più bisogni. In Giappone esiste una tipo di morte improvvisa che si chiama Karoschi, o morte da super-lavoro, che in genere colpisce chi per mesi lavora in maniera continuata, prodotto di una cultura dove competizione e profitto dominano il sistema lavorativo. Chi oggi parla di riformare il mercato del lavoro vuole ritornare ai tempi in cui morire sul lavoro era una fatalità, una colpa del destino, un peso individuale ed una tragedia familiare, assolvendo la spietata logica capitalista che miete vite umane in nome del profitto. Da parte nostra un ultimo saluto a Massimo.

 FAI – Federazione Anarchica Italiana
 Sez. “Michele Bakunin” – Jesi
Sez. “Francisco Ferrer” – Chiaravalle

25 settembre 2014
Categorie
volantino

soldi buttati

Categorie
osservatorio infortuni

osservatorio incidenti sul lavoro Agosto 2014

Categorie
osservatorio infortuni

osservatorio incidenti sul lavoro luglio 2014

Categorie
volantino













Bombe d’acqua,
si segue la pista anarchica!
Una brutta estate, piogge e maltempo devastano il paese  da Nord a Sud provocando danni e, purtroppo, vittime. A Jesi addirittura una tromba d’aria ha sconvolto un quartiere. Senigallia ancora deve riprendersi delle precedenti esondazioni che se ne ritrova di nuove. Così un po’ ovunque, manco fossimo un paese tropicale! Una repubblica delle banane!
Il tempo e le stagioni sono decisamente impazziti. Difficile nascondere la responsabilità dell’inquinamento industriale, del capitalismo che devasta territori e persone. Eppure anche in questo, il pensiero dominante è quello di negare l’evidenza (il profitto genera distruzione) e prendersela con … il fato, la sorte, il destino e così nascono neologismi interessanti come quello in voga: la bomba d’acqua! Tutto pur di aumentare angoscia e smarrimento e, dare delle non-notizie: d’estate arriva il caldo, sempre africano. D’inverno invece, guarda caso, c’è il freddo, in questo caso siberiano. Manca la stagionale notizia sulla zanzara tigre e il quadro è completo. Non ci si può sbagliare!
Eppure basterebbe chiedersi come mai in un paese moderno come l’Italia si debba sempre ricorrere alla protezione civile per affrontare eventi climatici e stagionali che, in larga parte, sono prevedibilissimi. Eventi che invece provocano sempre puntualmente danni pesanti. Insomma in un paese ordinato, organizzato, istituzionalizzato … si muore di pioggia, di frana, di alluvione o anche assiderati sotto i ponti. O davanti alle coste, in mezzo al mare, colpevoli di non essere … italiani (o occidentali!).
Forse tutta questa organizzazione, le istituzioni non la garantiscono. Forse la cosa più evidente è lo scaricabarile che riescono a fare quando succede qualcosa. Forse la pioggia anomala evidenzia la “normalità” del potere, che significa di fare tutto meno che gli interessi della collettività. E quando la collettività se ne accorge, quando si erge a difensore del suo territorio e delle sue vite, come in Val Susa contro la TAV, l’organizzazione repressiva, la macchina violenta dello stato e il controllo del territorio entrano in funzione in maniera puntuale e precisa.
Insomma se aumenta la pioggia bisogna arrangiarsi, alla disoccupazione bisogna rassegnarsi, e per la povertà e le malattie confidare nella provvidenza. Per il resto la macchina statale funziona: per la difesa del profitto. Se lo Stato italiano avesse speso in tutela ambientale quanto ha investito in val Susa in repressione militare, sicuramente i danni del maltempo sarebbero stati minori. Sicuramente si vivrebbe in un paese un po’ più libero.

Facile retorica certo, ma il messaggio che arriva da questa estate 2014 è una lezione da prendere ad esempio: la natura si ribella alle devastazioni dell’uomo? Ed allora è tempo che anche l’uomo si ribelli alle devastazioni fatte da altri uomini.