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Difesa d’Ufficio.

Nel numero di “La Repubblica” del 20 maggio 2015, a pagina 28, la rubrica “L’amaca” di Michele Serra dedica un commento all’arresto dell’anarchico Marco. Il testo recita:

Considero l’anarchico Marco, arrestato per l’aggressione al vicequestore durante il putiferio milanese anti-Expo, il minore dei nostri mali. O comunque: non il maggiore. Un marginale incazzato cui è capitata la sfortuna di diventare la star di una fotografia che ha fatto il giro del mondo, con un poliziotto a terra e il suddetto Marco (spalleggiato dal suo branco) che lo bastona, e tutti i “prima” e tuti i “dopo” che non contano più niente, conta solo l’attimo. E l’attimo, questa volta, è contro Marco e parla male di lui. Sarebbe bello, però, che il suddetto Marco, in un giorno qualunque della propria vita, magari a bocce ferme, a mente serena, in galera o (gli auguro) fuori di galera, con il suo pitbull o anche con cani meno bellicosi, guardasse quella foto e riconoscesse, nella propria sagoma con le gambe larghe e il braccio levato in aria, qualcosa di già visto. Stravisto. E’ l’immagina arcaica e archetipa dell’uomo di guerra, la guerra del fuoco o ancora indietro lo scimmione di Stanley Kubrick che scopre la prima arma, e la brandisce urlando al cielo la sua euforia. Tutto è muscoli e nervi, in quella postura di aggressore che scatta come una molla, tutto è adrenalina, guerra, ferinità, la sopraffazione della bestia (siamo bestie pure noi) per non essere sopraffatta. Gli anarchici erano tra quelli che lavoravano per la “futura umanità”. Un loro giornale si chiama Umanità Nova, fondato nel 1920 da Errico Malatesta. Di futuro e di “nuovo”, nell’uomo bastonatore, non c’è un granché.

E’ interessante la capacità di cogliere la notizia che “fa giornalismo”, che vende. Non quella che parla del cane che morde l’uomo, come potrebbe essere quella della testa spaccata dell’anarchico Silvano caricato a Massa per la contestazione contro Salvini, o quella della donna che contestava Renzi a Bologna giorni fa o più di recente dei segni del pestaggio di chi, sempre a Bologna, ha scioperato a difesa dei diritti lavorativi. No, pestaggi dovuti a cariche di alleggerimento e missioni squadristiche, non fanno notizia, anzi, meglio non parlarne. Ciò che fa notizia è l’uomo che morde il cane, la fotografia che mostra a terra chi ha una divisa e sopra di lui qualcuno senza divisa.

La notizia c’è. Lo scandalo e l’orrore pure e quindi ci si può ricamare sopra, in un modo o nell’altro. Purtroppo l’articolista ha perso diverse opportunità, quella magari di riferirsi al putiferio milanese non tanto ad un giorno anti-Expo, ma a tutti gli altri che sul piano economico e clientelare, legati ad Expo, rappresentano di gran lunga un putiferio anti-Milano. L’articolista poteva evitare di perdersi in valutazioni etiche sulla violenza rifacendosi al semplice fatto che il suo uso privilegiato, prima ancora che essere elemento animalesco, è sul piano giuridico caratteristica di diritto riconosciuta allo stato, e quindi in questo considerata necessaria, inevitabile, giusta e assumere la dimensione morale che la connota in toto: quella gerarchica; espressione dello stato appunto.

Ma una rubrica ristretta non può perdersi in argomentazioni e facezie e quindi basta chiudere con il solito schema mediatico degli anarchici buoni, quelli de ‘na volta, e di quelli cattivi, figli degeneri di un passato glorioso. Libero di scrivere e dire ciò che vuole – a pagamento poi! – l’articolista poteva ricordare che la marginalità in cui confina Marco, è il segno di una guerra di classe che l’oligarchia dei profittatori sta conducendo sulla moltitudine degli ultimi, verso i quali, gli anarchici continuano a volgere la loro attenzione. Magari con forze scarse, con limiti politici, con ambiti ristretti di movimento, però con la validità di una idea della società libera da ogni gerarchia che il novecento appena passato, purtroppo, ha confermato. Non resta che ringraziare l’articolista per la difesa d’ufficio fatta che mostra tutto il suo spessore intellettuale, la validità del modello di società cui si è sempre ispirato, la sua buona fede.

Per chi non lo avesse ancora letto di seguito il link del comunicato che parla del pestaggio e dell’arresto del compagno Silvano:

http://www.senzasoste.it/la-vostra-voce/solidarieta-a-luca-e-silvano-basta-con-i-razzisti-e-il-governo-che-li-protegge
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Nella cabina di pilotaggio

Molti lo avranno già letto. A diversi non piacerà l’autore, ma il testo che segue è un utile strumento di riflessione politica fuori da un fatalismo troppo spesso usato, troppo spesso scontato.
NELLA CABINA DI PILOTAGGIO
di FRANCO BIFO BERARDI
tratto da: http://www.commonware.org/…/…/567-nella-cabina-di-pilotaggio
Dicono che il giovane pilota Andreas Lubitz avesse sofferto di crisi depressive e avesse tenuto nascoste le sue condizioni psichiche all’azienda per cui lavorava, la Lufthansa. I medici consigliavano un periodo di assenza dal lavoro. La cosa non è affatto sorprendente: il turbo-capitalismo contemporaneo detesta coloro che chiedono di usufruire dei permessi di malattia, e detesta all’ennesima potenza ogni riferimento alla depressione. Depresso io? Non se ne parli neanche. Io sto benissimo, sono perfettamente efficiente, allegro, dinamico, energico, e soprattutto competitivo. Faccio jogging ogni mattina, e sono sempre disponibile a fare straordinario. Non è forse questa la filosofia del low cost? Non suonano forse le trombe quando l’aereo decolla e quando atterra? Non siamo forse circondati ininterrottamente dal discorso dell’efficienza competitiva? Non siamo forse quotidianamente costretti a misurare il nostro stato d’animo con l’allegria aggressiva delle facce che compaiono negli spot pubblicitari? Non corriamo forse il rischio di essere licenziati se facciamo troppe assenze per malattia? 
Adesso i giornali (gli stessi giornali che da anni ci chiamano fannulloni e tessono le lodi della rottamazione degli inefficienti) consigliano di fare maggiore attenzione nelle assunzioni. Faremo controlli straordinari per verificare che i piloti d’aereo non siano squilibrati, matti, depressi, maniaci, malinconici tristi e sfigati. Davvero? E i medici? E i colonnelli dell’esercito? E gli autisti dell’autobus? E i conducenti del treno? E i professori di matematica? E gli agenti di polizia stradale? Epureremo i depressi. Epuriamoli. Peccato che siano la maggioranza assoluta della popolazione contemporanea. Non sto parlando dei depressi conclamati, che pure sono in proporzione crescente, ma di coloro che soffrono di infelicità, tristezza, disperazione. Anche se ce lo dicono raramente e con una certa cautela l’incidenza delle malattie psichiche è cresciuta enormemente negli ultimi decenni, e il tasso di suicidio (secondo il rapporto del World Health Organization) è cresciuto del 60% (wow) negli ultimi quarant’anni. Quaranta anni? E che potrà mai significare? Che cosa è successo negli ultimi quarant’anni perché la gente corra a frotte verso la nera signora? 
Forse ci sarà un rapporto tra questo incredibile incremento della propensione a farla finita e il trionfo del Neoliberismo che implica precarietà e competizione obbligatoria? E forse ci sarà un rapporto anche con la solitudine di una generazione che è cresciuta davanti allo schermo ricevendo continui stimoli psico-informativi e toccando sempre di meno il corpo dell’altro? Non si dimentichi che per ogni suicidio realizzato ce ne sono circa venti tentati senza successo.
E non si dimentichi che in molti paesi del mondo (anche in Italia) i medici sono invitati a essere cauti nell’attribuire una morte al suicidio, se non ci sono prove evidenti dell’intenzione del deceduto. E quanti incidenti d’auto nascondono un’intenzione suicida più o meno cosciente? Non appena le autorità investigative e la compagnia aerea hanno rivelato
che la causa del disastro aereo sta nel suicidio di un lavoratore che ha sofferto di crisi depressive e le ha tenute nascoste, ecco che in Internet si è messo in marcia il solito esercito di cospirazionisti. “Figuriamoci se ci credo”, dicono quelli che sospettano il complotto. Ci deve essere dietro la CIA, o forse Putin, o magari semplicemente un gravissimo errore della Lufthansa che ci vogliono tenere nascosto. 
Un vignettista che si firma Sartori e crede di essere molto spiritoso mostra un tizio che legge il giornale e dice: “Strage Airbus: responsabile il copilota depresso.” Poi aggiunge: Fra poco diranno che anche l’ISIS è fatta da depressi.” Ecco, bravo. Il punto è proprio questo: il terrorismo contemporaneo può avere mille cause politiche, ma la sola causa vera è l’epidemia di sofferenza psichica (e sociale, ma le due cose sono una) che si sta diffondendo nel mondo. Si può forse spiegare il comportamento di uno shaheed, di un giovane che si fa esplodere per uccidere una decina di altri umani in termini politici, ideologici, religiosi? Certo che si può, ma sono chiacchiere. La verità è che chi si uccide considera la vita un peso intollerabile, e vede nella morte la sola salvezza, e nella strage la sola vendetta. Un’epidemia di suicidio si è abbattuta sul pianeta terra, perché da decenni si è messa in moto una gigantesca fabbrica dell’infelicità cui sembra impossibile sfuggire. 
Quelli che dappertutto vedono un complotto dovrebbero smetterla di cercare una verità nascosta, e dovrebbero invece interpretare diversamente la verità evidente. Andreas Lubitz si è chiuso dentro quella maledetta cabina di pilotaggio perché il dolore che sentiva dentro si era fatto insopportabile, e perché accusava di quel dolore i centocinquanta passeggeri e colleghi che volavano con lui, e tutti gli altri esseri umani che come lui sono incapaci di liberarsi dall’infelicità che divora l’umanità contemporanea, da quando la pubblicità ci ha sottoposto a un bombardamento di felicità obbligatorio, da quanto la solitudine digitale ha moltiplicato gli stimoli e isolato i corpi, da quando il capitalismo finanziario ci ha costretto a lavorare il doppio per guadagnare la metà.

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libera la lettura 3°incontro


















Sabato 7 marzo, terzo incontro del gruppo di lettura ‘Libera la Lettura’!
Questa volta condivideremo le nostre idee e i nostri pensieri sul libro ‘Il mondo deve sapere’ di Michela Murgia che parla delle disavventure di una telefonista all’interno del call centre di una multinazionale statunitense. 
Un libro forte che affronta un mondo, quello del lavoro, in continuo mutamento e dove le singole personalità dei lavoratori vengono sempre di più messe in sordina.

Precariato, psicologia di marcketing, disavventure personali e collettive


Vi aspettiamo alle 18:00 al Centro Studi Libertari ‘Luigi Fabbri’, via Pastrengo n.2, Jesi (AN).

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Un brutto editoriale.
Eugenio Scalfari nella sua rubrica settimanale “Il vetro soffiato”, dell’Espresso del 19 febbraio si mette a parlare di democrazia, verità e governi possibili e, non stupisce, fa qualche incursione scontata sull’anarchia. Nel complesso il pezzo è brutto, un po’ confuso all’apparenza, ma chiaro in profondità: l’articolo è rivolto alla classe dirigente attuale e alle riforme, ai metodi, ai cambiamenti che questa, tramite i suoi governanti, e sui suoi governati, sta attuando. Fra le righe sembra di cogliere un misto di rimbrotti e delusione per una società, quella italiana, che sta sempre più scivolando verso un gattopardismo noto, un autoritarismo altrettanto noto in un quadro di impoverimento generale progressivo in una guerra di tutti contro tutti, o meglio di pochi oligarchi contro i dominati. L’ex-direttore di “La Repubblica” sembra insomma preoccupato per la deriva autocratica che il paese sta prendendo, vedendo in essa, in primis, il fallimento di una visione liberal-democratica che egli e il suo giornale, per decenni hanno portato avanti e che, nei fatti, non sembra aver dato alcun valore aggiunto alla società italiana se, a più riprese, questa ha seguito inerme l’arroganza della Milano da bere del craxismo, i miracoli berlusconiani, le riproposizioni dei governi di unità nazionali e il ritorno della buona e vecchia balena bianca del renzismo rampante e twittatore. Insomma l’articolo sembra quasi un’introduzione di un qualche scritto sul fallimento storico della prospettiva democratica e liberale a fronte dell’onnipresente società sabauda, borbonica e papalina (qualcuno direbbe clericale, massonica e mafiosa) che governa da sempre la penisola. Libero, Scalfari, di pensare e scrivere ciò che vuole, ma farlo veicolando il suo pensiero con riferimenti al “terrorismo” e al fallimento storico dell’anarchismo, è intellettualmente sbagliato. Parlare di anarchia e di anarchici in termini di eterni sognatori e utopisti rientra nel più banale stereotipo costruito per nascondere come in realtà la società umana riesca a governarsi e a vivere meglio fuori dalla gerarchia statale, delle armi degli eserciti e del mercato. Gli esempi in merito, è certo, lo stesso redattore è in grado di trovarli e citarli. Al tempo stesso usare l’accoppiata anarchismo e terrorismo in un paese che ha visto le bombe fasciste a Piazza Fontana, quelle mafiose un po’ dovunque, i servizi segreti “deviati” – espressione di quella verità che governa di cui l’articolo in questione parla – sbizzarrirsi in attentati ed ammazzamenti vari, mentre questo paese forte della sua secolare esperienza coloniale nel Mediterraneo si prepara a massacrare civili libici … parlare quindi di terrorismo riferito agli anarchici, significa scivolare nell’antistorico e nel ridicolo, se non nella visione cara ai vecchi stalinisti. E poi, fatti salvi gli interessi editoriali, d’opinione e di lobby, se non fosse stato proprio per una libertà di pensiero, per una verità e diversità diffusa, presente nella società italiana, frutto di lotte partigiane e sindacali e non di editoriali, probabilmente l’altra verità di Repubblica nel ’76, non avrebbe visto mai la luce nel dominio assoluto delle verità delle maggioranze dei grandi giornali di partito e di potere. Verrebbe quasi voglia di suggerire al redattore dell’articolo di riguardarsi la storia dell’umanità e non tanto quella dell’anarchismo o del movimento operaio, ma forse non è il caso di sollevare altre verità da cercare. Duole però rilevare che, un settimanale come l’Espresso, continui lungo un cammino che sembra più utile a consolidare lo status quo presente che non a metterlo in discussione, come nei fecondi anni in cui era nato e nei quali si fece portatore di tante battaglie civili e sociali. In chiusura è giusto tranquillizzare Scalfari sul fatto degli “anarchici sterminati”. Se ne faccia una ragione, riferirsi ai piccoli numeri di gruppi e circoli presenti, o alla scomparsa come movimento di massa (come un secolo fa) in relazione agli anarchici e all’anarchismo, è riduttivo e fuorviante. Loro, anzi noi, gli anarchici, ed esso, l’anarchismo, sono molto più presenti e diffusi nella società di quanto non si voglia vedere, altrimenti, con tutte le ruberie e i massacri delle verità dominanti, questa, la società dello stato e del mercato, sarebbe collassata su se stessa molto prima. Gioco forza gli sfruttati, per mantenere in vita se stessi, concorrono a sostenere la stessa società che li sfrutta. Ma questa è un’altra storia, molto più anarchica e libera che non democratica e vera.
Centro Studi Libertari “Luigi Fabbri” – Jesi
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Comunicato stampa 8 ottobre

Comunicato stampa 8 ottobre

Il 4 ottobre scorso a Fano un’azione squadrista, firmata con svastiche e inneggi al duce, ha devastato lo Spazio Autogestito Grizzly. Consideriamo gravissimo quanto accaduto e segno di un peggioramento del quadro politico e sociale attuale dato che la violenza della bassa manovalanza fascista puntualmente si manifesta nei periodi di crisi economica e sociale. Peggio ancora in questo momento, alle porte di una serie di scadenze quali  scioperi nella scuola, cortei studenteschi, scioperi contro le manovre governative che cercheranno di manifestare il dissenso della collettività alle politiche scellerate del governo, alla voracità capitalista del padronato, e al montare della guerra fra poveri a fronte di una disoccupazione sempre crescente, alla discriminazione di genere. Dal canto nostro non siamo disposti ad accettare violenze e provocazioni di alcun tipo. Esprimiamo la nostra solidarietà alle/i compagne/i del Grizzly di Fano e siamo pronti a difendere i valori della classe operaia e dell’antifascismo contro ogni forma di violenza, squadrista o istituzionale, vigliacca e anonima o veicolata da leggi antioperaie e contro lo stato sociale.


FAI – Federazione Anarchica Italiana
–         Gruppo “Michele Bakunin” – Jesi
–         Gruppo “Francisco Ferrer” – Chiaravalle
Gruppo Anarchico “Kronstadt” – Ancona
Circolo Studi Sociali “Ottorino Manni” – Senigallia
Anarchiche e anarchici della Valcesano
Biblioteca Archivio E. Travaglini  
Alternativa Libertaria/FdCA di Fano – Pesaro
Centro Studi Libertari “Luigi fabbri” – Jesi