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osservatorio infortuni

osservatorio incidenti sul lavoro luglio 2014

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volantino













Bombe d’acqua,
si segue la pista anarchica!
Una brutta estate, piogge e maltempo devastano il paese  da Nord a Sud provocando danni e, purtroppo, vittime. A Jesi addirittura una tromba d’aria ha sconvolto un quartiere. Senigallia ancora deve riprendersi delle precedenti esondazioni che se ne ritrova di nuove. Così un po’ ovunque, manco fossimo un paese tropicale! Una repubblica delle banane!
Il tempo e le stagioni sono decisamente impazziti. Difficile nascondere la responsabilità dell’inquinamento industriale, del capitalismo che devasta territori e persone. Eppure anche in questo, il pensiero dominante è quello di negare l’evidenza (il profitto genera distruzione) e prendersela con … il fato, la sorte, il destino e così nascono neologismi interessanti come quello in voga: la bomba d’acqua! Tutto pur di aumentare angoscia e smarrimento e, dare delle non-notizie: d’estate arriva il caldo, sempre africano. D’inverno invece, guarda caso, c’è il freddo, in questo caso siberiano. Manca la stagionale notizia sulla zanzara tigre e il quadro è completo. Non ci si può sbagliare!
Eppure basterebbe chiedersi come mai in un paese moderno come l’Italia si debba sempre ricorrere alla protezione civile per affrontare eventi climatici e stagionali che, in larga parte, sono prevedibilissimi. Eventi che invece provocano sempre puntualmente danni pesanti. Insomma in un paese ordinato, organizzato, istituzionalizzato … si muore di pioggia, di frana, di alluvione o anche assiderati sotto i ponti. O davanti alle coste, in mezzo al mare, colpevoli di non essere … italiani (o occidentali!).
Forse tutta questa organizzazione, le istituzioni non la garantiscono. Forse la cosa più evidente è lo scaricabarile che riescono a fare quando succede qualcosa. Forse la pioggia anomala evidenzia la “normalità” del potere, che significa di fare tutto meno che gli interessi della collettività. E quando la collettività se ne accorge, quando si erge a difensore del suo territorio e delle sue vite, come in Val Susa contro la TAV, l’organizzazione repressiva, la macchina violenta dello stato e il controllo del territorio entrano in funzione in maniera puntuale e precisa.
Insomma se aumenta la pioggia bisogna arrangiarsi, alla disoccupazione bisogna rassegnarsi, e per la povertà e le malattie confidare nella provvidenza. Per il resto la macchina statale funziona: per la difesa del profitto. Se lo Stato italiano avesse speso in tutela ambientale quanto ha investito in val Susa in repressione militare, sicuramente i danni del maltempo sarebbero stati minori. Sicuramente si vivrebbe in un paese un po’ più libero.

Facile retorica certo, ma il messaggio che arriva da questa estate 2014 è una lezione da prendere ad esempio: la natura si ribella alle devastazioni dell’uomo? Ed allora è tempo che anche l’uomo si ribelli alle devastazioni fatte da altri uomini.
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osservatorio infortuni

osservatorio incidenti sul lavoro giugno 2014

Eccoci di nuovo con questo appuntamento anche per il mese di Giugno, quello scorso abbiamo saltato l’osservatorio purtroppo non per mancanza di incidenti, ma perché impegnati nei vari aiuti agli alluvionati di Senigallia
Nelle Marche come ormai in molte parti d’italia ricompare il LAVORO MINORILE, 2 i minori scoperti questo mese in uno dei tanti laboratori che forniscono manodopera a basso costo alle nostre “belle” imprese appaltatrici a cui poco importa della dignità dei lavoratori e della loro ETA’. Troppo spesso sentiamo di insegnanti che nelle scuole medie ed elementari cominciano a vedere qualche studente che dorme sui banchi, sapendo bene la  condizione umana che affrontano li lasciano riposare.
Nelle Marche i dati del primo trimestre 2014 di cassa integrazione salgono di un +68,1% rispetto al 2013. La regione si aggiudica un tasso di infortuni del 6% in relazione al numero di occupati.Questo dato dopo anni di discesa è tornato a salire nonostante la riduzione di ore lavorate. Noi non ci stancheremo di ricordare che sono i lavoratori in prima persona a rischiare. Se la proprietà risparmia su formazione e sicurezza, poi se una volta scoperta e casi non sono eclatanti, solitamente si preferisce far rimanere la ditta in piedi invece che lasciare senza lavoro chi vi è impiegato a rischio della propria vita. Solo evidenziando le carenze e i rischi anche a costi molto alti si potrà arrivare al punto di non dover contare morti e feriti costantemente. Non aspettando controlli accomodanti o sanzioni fittizie  LA PRECARIETA’ NON E’ SICUREZZA SUL LAVORO!

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volantino

VIDEOSORVEGLIATI


VIDEOSORVEGLIATI

Trenta telecamere sono pronte a partire a guardia della zona sud di Jesi. A chi o a cosa serviranno, difficile dirlo.
Il populismo che soffia sull’insicurezza sociale afferma che saranno un buon deterrente contro “malintenzionati” di sorta. Difficile dirlo.

Di certo saremo tutti meno liberi di muoverci senza essere spiati. Di certo ci saranno meno soldi nelle casse comunali perchè spesi in un progetto che non serve ai bisogni reali di sicurezza della collettività: casa, lavoro, reddito, salute.

La videosorveglianza potrà ben poco contro la grande criminalità che sta rendendo povera la Vallesina e Jesi, e l’Italia. Quella che chiude le fabbriche e dimezza gli stipendi e poi va a festeggiare nei night a coca e champagne. La grande criminalità che si fa eleggere dalla collettività e poi dopo qualche anno esce dai palazzi in manette per i cattivi affari fatti.

Il grande fratello dell’Amministrazione Comunale non riuscirà a proteggerci da corrotti e corruttori, speculatori e squali della finanza, amministratori delegati con il licenziamento facile e ogni sorta di criminale che usa il potere economico e politico per i propri interessi.

Trenta telecamere e … ronde leghiste che l’inettitudine politica rischia di legittimare. Trenta telecamere come i trenta denari di Giuda per svendere la cultura di pace ed integrazione di cui Jesi si è sempre detta portatrice. Jesi, città europea dello sport e … delle trenta telecamere.

F.A.I. Federazione Anarchica Italiana
M.Bakunin – Jesi
F.Ferrer – Chiaravalle

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mondiali di guerra

MONDIALI…DI GUERRA?
Sono iniziati i mondiali di calcio, ed è la volta del Brasile, e come per tutte le grandi opere (olimpiadi, etc.), la competizione si carica delle stesse pratiche consolidate: profitti capitalisti contro diritti umani. In questa occasione nel Brasile, da poco diventata 7^ potenza mondiale – e non certo per meriti di redistribuzione di ricchezza – l’aumento vorticoso delle disuguaglianze sociali ed economiche è ancora più evidente, secondo l’idea di sfruttare lo sfruttabile ed accumulare ricchezza per pochi.
            E’ quanto accade in maniera distruttiva a livello mondiale, da dieci anni a questa parte, con un capitalismo internazionale che investe in paesi senza alcuna tutela sindacale, ambientale e welfare strutturato, con governi complici, o dove questo esiste – la vecchia Europa – richiama al loro dovere i governi nel sostegno al taglio delle garanzie sociali e sindacali.
             Risorsa umana o naturale, ambientale o sociale, tutto viene sacrificato per il profitto del potere capitalista e degli interessi di pochi. Chi si oppone subisce arresti (anche preventivi), pallottole (non sempre di gomma), espulsione (dalle città – gentrificazione -), dal lavoro, dalla società. Quando tutto ciò non basta, una bella guerra è sempre pronta per rimescolare le carte geo-politiche, far arricchire multinazionali di vario tipo, terrorizzare gli schiavi di sempre.
            E se per caso regimi corrotti cadono sotto i colpi della rivolta popolare, come è stato in qualche paese del Nord Africa, o in Medio-Oriente eserciti e chiese di vario tipo si mobilitano per riprendere il controllo del potere, e avviare nuovi affari, con il beneplacito dei governi occidentali.
            In questo quadro le proteste che si susseguono da mesi in Brasile si legano ad una rivendicazione di tipo politico/sociale di un utilizzo della spesa pubblica a favore della popolazione con scuole e ospedali invece che andar ad ingrassare le multinazionali che si muovono dietro gli incontri internazionali del calcio.
            Il 55% dei brasiliani non vuole questo campionato. Se la loro protesta continuasse, legando contestazione alle grandi opere e rivendicazioni sociali – come è avvenuto per la lotta dei lavoratori della metropolitana di Rio – l’esercitò brasiliano dovrà allargare il suo campo di battaglia dalle sole favelas a tutto il Brasile. Pratica non nuova in Latino America. Pratica non nuova, anche se su scala ridotta nella democratica Italia della tirannide del “sistema Tav”.  Guerra interna o esterna i casi ormai diventano sempre più frequenti solo un unione di intenti tra sfruttati potrà opporsi all’avanzare incontrastato del capitale che schiaccia l’umano.

F.A.I. – Federazione Anarchica Italiana

M.Bakunin – Jesi
F.Ferrer – Chiaravalle