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votare chi e per cosa?


Votare chi e per cosa?

Il prossimo 31 maggio si voterà in sette regioni italiane, fra cui le Marche. Elezioni importanti per i governi locali che decideranno ancor più sulla sanità futura, sul territorio, probabilmente a livello nazionale (via il senato entrano i rappresentanti delle regioni) e, senza sorpresa, su tasse e sussidi a livello locale.
La posta in gioco è alta, il territorio da conquistare attraverso una poltrona è potenzialmente ricco di offerte, affari, interessi, e clientele ed altro. Gli scandali avvenuti in questi anni, e in questi mesi non fanno sperare niente di buono, anzi. Non c’è stata regione dove non si sono avute spese pazze, a carico dei cittadini, corruzione di consiglieri, collusione con la criminalità e il continuo taglio di servizi, sicurezze, prestazioni sanitarie.
In quasi mezzo secolo di vita il risultato politico ed economico, ma soprattutto sociale dell’esistenza delle regioni in Italia è negativo, rivelandosi funzionale alla crescita delle disuguaglianze sociali, alla protezione dei profitti privati, alla devastazione del territorio.
Nelle Marche poi si assiste ad una tragicommedia politica e istituzionale dove il presidente Spacca, due mandati a maggioranza PD, adesso corre per il centrodestra. Giochi di potere che potrebbero anche non interessarci, ma le loro conseguenze, le cattive ricadute di una democrazia stracciona e di un capitalismo rampante e arrogante, saranno unicamente a carico dei più deboli, degli sfruttati, dei lavoratori, di vecchi, malati, stranieri e disoccupati.
Qualcuno dice che il sistema Marche tiene. Forse, ma diminuiscono i posti di lavoro, chiudono le fabbriche, scompaiono garanzie e tutele di ogni tipo. La sanità, nonostante la regione sia fra le più virtuose, subisce contrazione dei servizi e dell’accesso, per essere data in gestione a primari tuttofare al governo di interi settori medici su tutto il territorio di una provincia. Alla faccia della democrazia (loro)! E mentre si vendono balle che parlano di futura occupazione con lo sviluppo del turismo, quando piove un po’ più del solito, si allagano strade, case e quartieri.
Le Marche come territorio devastato dalla politica istituzionale e dai profitti di mercato, dove chi governa e chi sta all’opposizione ha sempre una scusa pronta per dare la colpa a qualcun altro … ma allora che ci stanno a fare? Al contrario gli esempi sono molteplici di lavoratori e cittadini che si mobilitano dal basso per difendere il lavoro (Cantieri ad Ancona e l’Indesit a Fabriano), la salute (Fossombrone e Chiaravalle contro la chiusura dei piccoli ospedali, o il grido degli operatori sanitari che non ce la fanno più), il territorio (contro rigasificatori, turbogas, ecc.).
Le Marche: l’Italia in una regione. Vecchio slogan di qualche anno fa ma verissimo e valido, e dunque come nel resto d’Italia, la difesa del lavoro, del territorio, della salute, e dei diritti, parte dal basso, dalle lotte, dalla solidarietà, e non dall’illusione di cinque minuti di democrazia, più sperata che rilasciata. Se tutti i soldi che vengono spesi in campagne elettorali fossero investiti nella risposta ai bisogni collettivi, molti problemi sarebbero risolti.
La scelta resta quella dell’autogoverno, delle risorse redistribuite, dei bisogni sociali soddisfatti, della cacciata di una classe politica al servizio unicamente dei padroni di sempre.


No grazie, meglio l’autogestione sociale!

F.A.I. – Federazione Anarchica Italiana 
M.Bakunin – Jesi
F.Ferrer – Chiaravalle



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1° Maggio 1°MAGGIO

dopo il 1°Maggio da Milano

Per uno sbocco rivoluzionario e libertario alla crisi imposta da Stato e Capitale
EXPO: LA LOTTA CONTINUA
“Devastazione e saccheggio”, parole forti, parole da quindici anni di galera per chi viene beccato con la mazzetta in mano, per chi è stato preso nel mucchio del riot cittadino, nei pressi di una vetrina infranta o di un auto in fiamme o, a posteriori, ne verrà riconosciuta la presenza attraverso analisi fotografiche e video. Chi ci sta lo sa.
A chi devasta territori e ambiente, a chi saccheggia le risorse comuni, a chi ci fa morire di amianto, d’inquinamento, di discariche abusive, a chi ha un altro tipo di “mazzette” in mano, sappiamo bene che lo Stato e i suoi apparati repressivi (polizieschi, giudiziari e carcerari) non riserva altrettanto trattamento. E non potrebbe essere altrimenti: Stato e Capitale, nella loro complice e collusa alleanza, non possono certo “accusarsi e arrestarsi” a vicenda. E anche questo noi lo sappiamo.
A Milano, il Primo maggio, una grande manifestazione di oltre trentamila persone, in maggioranza di giovani, donne e uomini, sia del luogo che provenienti da varie parti del paese e d’Europa, ha animato le vie della città percorrendo, in vario modo, i pochi chilometri di strade ‘concessi’ dalle Autorità locali sotto stretto controllo dei vertici nazionali. L’obiettivo era quello di disvelare il reale significato di quel baraccone fieristico rappresentato da Expo 2015; di denunciare che quanti hanno contribuito al disastro alimentare ed agricolo di paesi e di parti consistenti di interi continenti non possono ora presentarsi come paladini della lotta della fame nel mondo, del rispetto delle biodiversità e della vita e del lavoro di che la terra la lavora; di accusare il sistema di malaffare, di corruzione, di speculazione selvaggia che ha regnato su Expo e che regnerà sulle aree del sito alla conclusione dell’evento; di opporsi ad un modello di sviluppo basato sul lavoro precario, gratuito e sulla pauperizzazione del paese.
Un corteo di meno di quattro chilometri ottenuti a fatica, dopo il divieto, giunto a pochi giorni dalla manifestazione, di passare per il centro città, trasformata in una sorta di zona rossa, una sorta di provocazione in una giornata che è sempre stata simbolo della lotta per la liberazione dalla schiavitù del lavoro salariato, in una città che ha visto negli anni lo svolgimento di grandi e partecipate May Day.
Un corteo composito ed eterogeneo, che raccoglieva il lavoro svolto nel tempo dai comitati No Expo e lo sforzo organizzativo di rappresentare sul campo le diverse anime e sensibilità che sul terreno della lotta a quel modello di società e di sviluppo si muovono. Un corteo costruito assemblearmente dopo diversi mesi di riunioni, di confronti, di decisioni costruite sul consenso e sull’accordo. In testa più di duecento musicisti, appartenenti a bande di vari paesi d’Europa, reduci dalla cena serale d’accoglienza presso la sede della FAI di Milano curata dalla Banda degli Ottoni, a dare un segnale di festa e di calore, a seguire i comitati No Tav, No Muos, No Expo, la rete ‘Genuino clandestino’, quelli di lotta sul territorio e per la casa, il sindacalismo di base della CUB e dell’USB, lo spezzone rosso nero con lo striscione ‘Expropriamo Expo’, dietro cui sfilavano circa duecento compagni e compagne tra FAI, il Circolo anarchico di Via Torricelli 19, l’USI  striscione e Iniziativa Libertaria di Pordenone con i loro striscioni, oltre a diverse individualità. A seguire, e a chiudere il corteo, il SI.COBAS, il ‘Sindacato è un’altra cosa’, e infine vari partiti, da Rifondazione al PCL.
Imponente lo schieramento di polizia, con mezzi blindati e reticolazioni semoventi, a chiusura delle varie possibilità d’accesso al centro città; anche se rimane ‘curioso’ il fatto di aver lasciato parcheggiare le auto lungo il percorso del corteo, così come il fatto che siano rimasti al loro posto i cestini per i rifiuti ed altre suppellettili cittadine che generalmente vengono rimosse in previsione di cortei ‘caldi e vivaci’ come ci si aspettava che fosse, soprattutto dopo la campagna mediatica preventivamente criminalizzatrice e le conseguenti perquisizioni e sgomberi delle giornate immediatamente precedenti.
La formazione del corteo è stata lentissima anche perchè si partiva dalla grande piazza di Porta Ticinese per imboccare lo stretto omonimo Corso, ma senza grossi problemi perchè il posizionamento dei vari spezzoni era stata concordato da tempo. Quello che non poteva essere concordato era il posizionamento di quanti, provenienti da fuori Milano e da fuori Italia, non avevano partecipato al percorso organizzativo e che si presumeva si potessero posizionare alla coda del corteo. Nei fatti quello che è successo è che queste realtà si sono posizionate all’interno degli spezzoni a loro più affini, soprattutto nella parte centrale del corteo dove si è evidenziato un comportamento assolutamente refrattario al rispetto degli accordi presi precedentemente. Volontà politiche, sicuramente autoritarie e prevaricatrici, ed in/sofferenze sociali si sono mischiate dando origine ad uno spezzone che ha cercato un suo protagonismo attivistico prima nella contrapposizione con le forze di polizia, poi con quelli che sono stati identificati con i simboli del potere capitalistico. Ma chi cerca di trovare un nesso unico, una regia unica, in quello che è successo sbaglierebbe.
Lasciando alla destra tradizionale e a quella renziana le urla di sdegno e gli editti accusatori, la minaccia di rappresaglie ed i progetti di leggi liberticide, quello che ci interessa mettere a fuoco è come il Primo maggio a Milano si sia messo in scena non tanto una replica di quanto già visto a partire da Seattle in poi, quanto una prima concretizzazione di quello che le politiche di austerità, di impoverimento sociale, di rafforzamento autoritario, di restringimento degli spazi di espressione e di organizzazione, stanno producendo: una espressione, fluida, anche contraddittoria, di un malessere sociale ed esistenziale, che nel conflitto, nelle sue varie forme possibili, cerca uno sbocco.
Così, alcune centinaia di manifestanti si sono misurati prima con la polizia che, con un numero spropositato di lacrimogeni urticanti (si dice più di 400) e con l’uso degli idranti, li ha respinti, per rivolgere poi la loro attenzione alle vetrine di banche, negozi di vario tipo, auto, pensiline dei mezzi pubblici, semafori, ecc., mischiando le banche, simboli classici del sistema di sfruttamento capitalistico con attività generiche (un barbiere, un ottico, un ortofrutta…). Insomma tanto lavoro per assicurazioni ed artigiani mentre Maroni e Pisapia hanno già offerto rimborsi e organizzato manifestazioni: il 2016 con le elezioni della nuova giunta non è poi così lontano.
Trovandosi al centro del corteo il rischio del coinvolgimento dell’intera manifestazione è stato ovviamente molto alto – è stato avanzato anche il sospetto che alcuni all’interno di quello spezzone lavorassero per trasformare tutto il corteo in un terreno di scontro complessivo –  ma se così non è stato è grazie alla determinazione delle componenti iniziali organizzatrici della manifestazione che hanno tenuto fede agli impegni presi assemblearmente sia mantenendo le posizioni, sia concludendo il percorso tra i fumi dei lacrimogeni e delle auto incendiate. In questo contesto non si può tacere delle tattiche poliziesche tese da una parte a contenere i danni tra i ‘suoi’ e dall’altra ad evitare che ci fossero delle vittime tra i manifestanti, tali da ‘sporcare’ l’inaugurazione di Expo. Del ‘buon cuore’ ipocrita del Ministro degli Interni non sappiamo che farcene.
Detto questo rimangono sul tappeto alcune considerazioni da fare.
La crisi sta scavando sempre di più nel corpo sociale del paese, le politiche riformistiche non hanno più gambe né fiato né sirene da suonare, la disoccupazione cresce e soprattutto quella giovanile, non c’è uno straccio di politica industriale all’orizzonte, le rappresentanze politiche più o meno tradizionali si sono dissolte, le divaricazioni sociali crescono così come cresce il controllo sociale fino a prefigurare scenari di militarizzazione sociale complessiva, leggi sempre più autoritarie e restrittive sono all’orizzonte sia sul campo degli scioperi dove si vuole imporre un criterio maggioritario alla tedesca, sia nel campo delle manifestazioni di piazza. Non ci vuole molto a capire che, in mancanza di una capacità politica rivoluzionaria in grado di costruire uno sbocco praticabile e condiviso alla situazione che stiamo vivendo e che andrà sempre più aggravandosi, la violenza acefala diventerà l’unica forma di espressione possibile. Esorcizzare quanto è successo non ci aiuta, il moralismo perbenista nemmeno, il settarismo autoreferenziale men che meno. C’è da rimboccarsi le maniche, sempre più e sempre meglio, sulla strada della lotta quotidiana, dell’autorganizzazione, del duro lavoro di costruzione di un movimento libertario che sappia essere agente reale e concreto della trasformazione sociale.

Le compagne e i compagni della Federazione Anarchica Milanese
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1° Maggio 1°MAGGIO cena sociale cineforum lavoro video

1° Maggio

1 MAGGIO

1° Maggio dedicato a tutte le vittime del lavoro, a chi manifesta contro l’Expo, a chi in un giorno di lotta e di festa è contento di lavorare perché, disperato, sa che domani non lavorerà.

questo primo maggio è per chi lotta, contro i padroni, contro lo stato.

JESI via Pastrengo 2
dalle 11:30
Comizio, pranzo sociale, pomeriggio conviviale con canzoni, video e storie.

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concerti

concerto del 3 maggio

Domenica 3 Maggio

ore 17:30 – ingresso libero – a seguire cena Vegan

MEATBALL EXPLOTION – Thrash’n’Roll da Fano

PANZER – Spaghetti SpeedROck da Filotrano

BABYSCREAMERS – GroovePunk da Ancona

La partecipazione agli utili delle aziende di cui siamo sempre resi più schiavi non potrà essere che una carota, per giustificare il bastone che il capitale da sulla schiena di chi lotta per ottenere più diritti per gli sfruttati e resiste alle privatizzazioni per il profitto di sanità, scuola e servizi

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antifascismo volantino

contro la Fascista Italia – 25 aprile


Contro la Fascista Italia
L’Italia è stata condannata per tortura dalla corte europea dei diritti dell’uomo per i fatti di Genova nel 2001. Un bel riconoscimento per un paese che festeggia i suoi settant’anni dalla liberazione nazi-fascista. C’è poco da meravigliarsi. Dopo quel 25 aprile, tutto ciò che è stato conquistato in termini di diritti è stato frutto di lotte che si sono susseguite negli anni. Lotte dure, sempre represse dal potere. Se la dittatura fascista era stata cacciata a furor di popolo e sotto il peso dei suoi delitti e del suo fallimento, le idee fasciste non hanno mai smesso di trovare spazio nelle gerarchie istituzionali, imprenditoriali e culturali di questo paese. Ed oggi portano avanti una battaglia di conquista assoluta del potere che non ha precedenti nella storia dell’Italia repubblicana.

La scuola pubblica scompare sotto il peso di una riforma che la vuole sempre più privatizzata, di classe e in mano a presidi-padroni. La sanità pubblica cede sempre più terreno a quella privata, integrativa, lasciando intanto il potere dei baroni, delle case farmaceutiche, delle clientele di ogni tipo, mentre aumentano le iniquità sociali e nella salute. Per non parlare del lavoro, che si può sintetizzare in poche parole: Jobs Act del Governo Renzi.

Chissà come festeggeranno il 25 Aprile i 1350 operai messi come esubero dal Gruppo Merloni. O le famiglie di quelli che sono affogati davanti alle coste italiane, o di quelli che muoiono sul lavoro e di lavoro. Il fascismo ottanta anni fa inaugurava l’autarchia. Oggi in nome della crisi ci sono ministri che esaltano il lavoro non retribuito chiamandolo falsamente come volontariato, mentre c’è chi guadagna in un mese paghe e pensioni da fame tali che ci hanno fatto tornare indietro di decenni.

Il fascismo aveva il Ministero della Cultura Popolare, che aveva abbreviato nel significativo Min.Cul.Pop., oggi i media forse non sono così asserviti, ma il risultato nella libertà di informazione cambia poco dalla sigla mussoliniana. Oggi il culto del capo, del leader è tale e indiscusso che non esistono manco più i partiti e le idee, ma liste politiche con i nomi di autorevoli personaggi, che scompaiono spesso nell’arco di una legislatura. Oppure vengono riciclati di continuo nel gioco delle elezioni democratiche e libere. Chiamarle plebisciti è un eufemismo se si pensa allo spessore politico della ricandidatura, tanto per citare, dell’indigeno Spacca.

L’Italia è il paese dei “Santo subito” e dell’assolutamente si! Della riscrittura della storia e dei saluti romani allo stadio – e non solo. L’Italia è il paese dove è più facile che la politica produca malaffare che non investimenti per il futuro. In un paese libero la sicurezza si legge in termini di reddito, salute, lavoro, cultura. Altrimenti spuntano telecamere e pestaggi.

Noi consideriamo che al fascismo non ci si possa e non ci si debba mai arrendere. La forza della ragione e dei sentimenti, della solidarietà e della libertà è riuscita a costruire una società migliore dopo quel 25 aprile, e non ce la faremo scippare da quattro frustrati in camicia nera o in doppio petto. Oggi come sempre, la resistenza continua nella solidarietà di classe, nelle lotte degli sfruttati.



Saremo sempre partigiani!



F.A.I. Federazione Anarchica Italiana
M.Bakunin – Jesi
F.Ferrer – Chiaravalle